Patent box o IP box?

A cura di Michela Maggi, avvocato – PhD in Intellectual Property Law

mindIl “Patent box”, in realtà, riguarda non solo i brevetti ma anche il know how, i marchi, il design e tutte le opere coperte da diritto di autore (ipoteticamente quindi anche opere del design così protette, software e ogni prodotto dell’industria culturale). Si tratta senz’altro di una manovra rivoluzionaria per questi beni e per le imprese che investono o vogliono investire in ricerca e sviluppo. Peraltro non saranno solo le imprese a trarre vantaggio da questo tipo di regime, ma sarà anche lo Stato il quale riscuoterà imposte che altrimenti sarebbero dirette verso Paesi con una fi scalità più vantaggiosa (in seguito al trasferimento all’estero da parte dell’imprenditore italiano di marchi, brevetti e know how aziendale). In questo senso è ravvisabile nelle intenzioni del legislatore anche una finalità antielusiva, che mediante l’adozione di un regime più vantaggioso pare poter scongiurare, o comunque ridurre, manovre volte a escludere alcuni asset dalla base imponibile per evitare o ridurre il pagamento delle imposte collegate.

È lo stesso legislatore, nella relazione illustrativa alla legge di stabilità, a riconoscere il valore aggiunto che i beni immateriali, quali marchi brevetti e know-how portano all’impresa, e a sottolineare la loro preminenza nelle attività di ricerca e sviluppo, considerata oggi più che mai imprescindibile per la crescita delle imprese. Il legislatore prosegue poi evidenziando che l’implementazione del patent box costituisce per il nostro mercato un sicuro fattore di attrattiva rivolto non solo agli imprenditori italiani, ma anche agli investitori esteri che pure potranno usufruire di questo vantaggioso regime fi scale. Il patent box è rivolta alle imprese e consiste in un’opzione irrevocabile e rinnovabile di durata quinquennale che consente di escludere dalla base imponibile delle imposte sui redditi e dell’IRAP una determinata percentuale dei ricavi derivanti dall’utilizzo indiretto degli asset della proprietà intellettuale, con modalità diverse in caso di utilizzo diretto dell’asset, oppure di utilizzo attraverso altre società del gruppo, di concessione in licenza o in uso dei beni, e di plusvalenze derivanti da eventuali cessioni. Il limite massimo del credito di imposta per ogni anno ammonta a cinque milioni di euro, a condizione che per ogni periodo di imposta siano state sostenute spese relative alla ricerca e allo sviluppo per almeno trentamila euro.

I beni immateriali ricompresi nell’agevolazione in seguito alle modifiche apportate dal D.L. 3/2015 sono tutti i beni o diritti di proprietà intellettuale e, a differenza del testo di legge precedente, sono ora ricompresi tutti i marchi, anche quelli commerciali. In altri Paesi, al contrario, l’agevolazione di cui si parla è stata prevista soltanto in riferimento ai brevetti o a pochi altri diritti della proprietà intellettuale.

Si diceva che l’agevolazione è usufruibile dalle imprese, compresi i trust e le imprese non residenti in Italia e residenti in Paesi con i quali siano stati stipulati accordi volti a evitare la doppia imposizione. Il regime di agevolazione fi scale previsto dal “patent box” si applica dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 Dicembre 2014 e sarà perfettamente operativo a partire dall’approvazione del decreto ministeriale attuativo, che dovrà anche chiarire alcuni aspetti pratici legati al calcolo dell’agevolazione stessa, ad esempio precisando se i costi devono essere sostenuti nell’anno in cui si richiede l’agevolazione e i criteri di calcolo delle spese di ricerca e sviluppo, così come il calcolo dei costi complessivi sostenuti per produrre l’asset e i tempi della procedura di ruling. Si tratta quindi di una manovra fortemente vantaggiosa per imprese che induce ad un ripensamento in relazione anche al portafoglio di proprietà intellettuale posseduto dalla nostre piccole e medie imprese e che può cambiare le strategie di sfruttamento e di allocazione di questi diritti.