Sta arrivando il sensory swarm?

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In soli 10 anni potremmo vivere in un mondo dove ci sono sensori nei muri delle nostre case, nei nostri vestiti e anche nel nostro cervello. dimenticate l’Internet of Things, dove la vostra macchina per il caffè, la TV e frigorifero sono connessi in rete: entro il 2025, potremmo davvero vivere in un mondo caratterizzato da migliaia di miliardi di dispositivi intelligenti interconnessi.

Questa è la previsione di Alberto Sangiovanni Vincentelli, professore di ingegneria elettronica e informatica e ricercatore presso la University of California a Berkeley ed una delle persone più brillanti che abbia mai avuto il piacere di conoscere personalmente. “L’intelligenza può essere integrata dovunque” ha detto il professore durante il suo intervento al DARPA’s Wait, What? Forum sulle tecnologie del futuro, che si è tenuto a St. Louis all’inizio di questo settembre. E’ già così oggi e nei prossimi dieci anni sarà un processo esplosivo: nel 2015 potremo vivere in un mondo nel quale, per ognuno dei 7 miliardi di abitanti del pianeta, ci saranno oltre mille sensori a disposizione nell’ambiente circostante. L’intero ambiente che ci circonda è destinato ad essere riempito di sensori di ogni tipo e forma: sensori chimici, telecamere, microfoni, sensori ambientali… I sensori controlleranno ogni parametro possibile ed i microfoni intorno a noi saranno in grado di ascoltare ed interpretare i nostri comandi.

Dopo l’IOT il Cyber Physical System L’Internet of Things, che oggi sembra avveniristico, è solo un passaggio intermedio. Secondo il professore e ricercatore di Berkeley, gli smartphone e i computer come li conosciamo ora sono destinati a sparire in favore di uno “sciame” di sensori intelligenti e interconnessi (il sensory swarm), nei quali l’uomo si troverà “immerso” (immersed human environment). Quasi tutto nel nostro ambiente – dall’abbigliamento, ai mobili, alle nostre case – potrebbe essere intelligente. I sensori potranno essere mescolati alla vernice con cui imbiancheremo i muri di casa. Dovremo solo parlare ad alta voce e le informazioni richieste saranno immediatamente disponibili, le telefonate potranno essere effettuate o un robot potrebbe iniziare a pulire o preparare la cena. E con sensori impiantati nel nostro cervello, non ci sarebbe nemmeno bisogno di parlare ad alta voce per interagire con il nostro ambiente intelligente. Un Cyber Physical System di questo tipo implica anche un’enorme potenziale di efficienza. Si pensi ad esempio come potrebbe diventare efficiente la gestione di infrastrutture critiche come la gestione del traffico o la distribuzione dell’acqua. Per andare da un punto A ad uno B, basterà indicare la nostra esigenza al veicolo intelligente ed il sistema si prenderà carico di trasportarci autonomamente a destinazione, effettuando tutte le scelte più efficienti ed efficaci, interagendo con l’ambiente.

Un altro esempio potrebbe essere la gestione della rete idrica: oggi oltre il 50% dell’acqua va sprecata a causa di perdite lungo il percorso dalla fonte, all’acquedotto, all’utenza. In futuro i sensori potrebbero individuare immediatamente una perdita ed un robot potrebbe andare lungo la tubazione a riparare immediatamente la falla. Lo “sciame di sensori” sta quindi arrivando, ma c’è un sacco di lavoro da fare prima che arrivi. In primo luogo, semplicemente, oggi non abbiamo ancora una rete in grado di supportare l’enorme quantità di dispositivi che saranno connessi. Anche il “Cloud” dovrà crescere enormemente per poter gestire tutti i dati che queste migliaia di miliardi di dispositivi creeranno. Avremo poi bisogno di protocolli di comunicazione che consumino pochissime quantità di energia e possano trasmettere quantità fl uttuanti di informazioni, per non parlare della disponibilità di questi sensori a bassissimo costo (nell’ordine di pochi centesimi di dollaro). Ovviamente sarà obbligatorio avere una maggiore e migliore sicurezza intrinseca per respingere cyber-attack ai nostri vestiti, alle nostre pareti e, ancora più importante, al nostro cervello.

di Andrea Bondi