Stampanti 3D: dall’industria allo spazio

La prototipazione rapida è un insieme di tecniche industriali volte a realizzare “il primo elemento della serie”, ovvero il prototipo. Tra le tecnologie di prototipazione rapida troviamo la stampa 3D dove le polveri vengono mantenute insieme da un collante spruzzato con una testina simile a quelle presenti nelle stampanti a getto d’inchiostro

di Elena Biasiolo

 

Le tecnologie di stampa 3D hanno percorso una lunga strada da quando vennero usate per la prima volta nella prototipazione rapida. Oggi questa tecnologia è largamente utilizzata in molte altre applicazioni essendo in grado di creare riproduzioni reali di un modello 3D. Alcune di queste tendono ad essere quantomeno inquietanti: ad esempio “The Liberator”, è una pistola, ed è stata appena testata. La notizia in sé non sembra di particolare interesse, se non fosse per un particolare, non certo insignificante: la Liberator è stata realizzata con una stampante 3D.

Esistono però applicazioni meno pericolose da un punto di vista sociale. Ad esempio, a livello industriale una risposta innovativa alla ricerca di soluzioni tecnologiche avanzate per velocizzare esponenzialmente il processo della realizzazione di piccole serie è stata trovata nell’utilizzo delle nuove  stampanti 3D: unità a sinterizzazione laser, sistemi di fusione a fascio di elettroni e stampanti polyjet specializzate. Queste stampanti richiedono software personalizzati e tecnici altamente specializzati per il loro utilizzo. Inoltre hanno bisogno di molta energia per fondere ripetutamente gli strati di plastica, ceramica o polveri metalliche necessari alla realizzazione del prototipo. Essendo in grado di stampare un’ampia gamma di materiali resistenti, come leghe d’acciaio o titanio, sono gli strumenti ideali per produrre bielle, ingranaggi e componenti per ammortizzatori, conduttori elettrici e componenti per l’industria aerospaziale.

Grazie alla riduzione del costo della tecnologia, la naturale evoluzione della stampante 3D è stata la sua diffusione in ambito domestico. Basti pensare che un’azienda americana ha presentato al CES 2012 una stampante per uso domestico con un prezzo che non supera i 3.000 dollari: con questo strumento è possibile stampare in casa oggettistica in plastica. Parallelamente un centro di ricerca del Nord America, in collaborazione con una delle più importanti aziende del settore medicale, ha sviluppato un prototipo di bio-stampante: tale dispositivo è in grado di riprodurre componenti biologici come la cartilagine. Il suo funzionamento è simile a quello di una stampante 3D tradizionale: è necessario creare al computer un disegno tridimensionale del tessuto e produrre un ”inchiostro” (bio-ink) con cellule staminali e un materiale biocompatibile che farà da supporto. La stampante dispone di due ugelli molto precisi (uno per le cellule e l’altro per la matrice di supporto) e sarà in grado di stampare, in maniera artificiale e controllata, vasi sanguigni, tessuto nervoso, arterie artificiali, cartilagine.

Quando si parla di trasferimento tecnologico verticale spesso si intende tecnologie che da settori di nicchia e molto avanzati, come quello aerospaziale, vengono trasferite a settori di massa, come quello industriale. Per le stampati 3D il percorso di trasferimento è stato sì verticale, ma al contrario.

Infatti quest’anno la NASA ha assegnato un contratto (SBIR, Small Business Innovation Research Phase I contract) di 125.000 dollari all’azienda Systems and Materials Research Consultancy di Austin per studiare la fattibilità nell’utilizzo della tecnologia di stampa in 3D per produrre cibo per gli astronauti impegnati in missioni di esplorazione spaziale di lunga durata, ben oltre l’orbita Terrestre. Già da tempo la NASA riconosce l’importanza del processo di “additive manufacturing” (detto comunemente stampa in 3D) per il suo potenziale d’uso nelle missioni spaziali per costruire oggetti, strumenti, componenti più o meno grandi.

Nel programma NASA “Advanced Food Technology” si è alla ricerca di nuovi metodi per fornire cibo che rispetti criteri di sicurezza, accettabilità, varietà e stabilità nutrizionale per lunghe missioni di esplorazione, utilizzando nel contempo il minimo delle risorse sia del veicolo spaziale che del tempo dell’equipaggio. L’attuale sistema di fornitura del cibo ad esempio non è in grado di soddisfare entrambi i vincoli di necessità nutrizionali e di 5 anni di stabilità/durata richiesti per una missione su Marte. In questo contesto si colloca il nuovo contratto NASA verso la Systems and Materials Research Consultancy. Sei mesi per determinare se la tecnologia di stampa 3D potrà essere in grado di produrre cibo che garantisca i giusti nutrienti e nel contempo garantire un’adeguata varietà di cibo partendo da ingredienti in grado di durare.