È normale che nei vari periodi storici ci siano delle evoluzioni sui processi e sulle metodologie di progettazione. Gli approcci sono diversi e modellati secondo le richieste di mercato e i cambiamenti socioculturali. Ultimamente, sembra proprio che questi ultimi abbiano inciso parecchio nel settore dello sviluppo prodotto
di Gianluigi Bortoluzzi
Cosa accade, quindi, se si ha la necessità di sviluppare un’idea, ma la società appare particolarmente dinamica e in forte mutazione? C’è bisogno di uno strumento che permetta di interpretare scenari, valutare nuove applicazioni e gestire l’innovazione tecnologica.
Il concetto non è nuovo, perché è stato introdotto più di 40 anni fa, ma il Co-Design è un punto cardine che contribuisce a tenere sotto controllo la globalità: è quel processo di sviluppo di un prodotto, di un servizio o di un’organizzazione in cui vengono coinvolte differenti personalità esterne all’azienda, allo scopo di cooperare nella definizione del progetto.
Generalmente vengono coinvolte figure professionali tecniche e utenti finali che generano feedback sull’efficacia e usabilità dell’idea o che esprimono dei bisogni insoddisfatti. La loro partecipazione può presentarsi in separate fasi del processo di sviluppo: dall’iniziale definizione dei requisiti ed esplorazione delle possibili innovazioni al brainstorming di idee, durante lo sviluppo vero e proprio del prodotto o nelle ultime fasi prima del lancio nel mercato (ad esempio per l’utilizzo di prototipi, utili a verificare l’idea sviluppata).
L’approccio User Centered
User Centered Design è un approccio di design iterativo che coinvolge l’utente finale ed è basato sulla struttura design>test>design, da applicarsi fin dalle prime fasi di ideazione, in maniera ciclica, lungo tutto l’arco di sviluppo del prodotto. Un esempio chiaro e noto che integra il co-design alla progettazione è il Focus Group, aggregazione di potenziali utilizzatori con caratteristiche socio-culturali differenti, organizzati per raccogliere più informazioni possibili sull’interazione utente-nuovo prodotto. È un metodo strutturato e ben delineato ma spesso i test sono veicolati e limitati perché, appunto, organizzati internamente all’azienda.
Il Lead User Method
Un altro approccio è il cosidetto Lead User Method che si serve della consultazione di personalità particolarmente competenti che, grazie alle loro abilità, sono capaci di anticipare nuovi bisogni dei consumatori e intravedere possibili innovazioni.
Lo sviluppo di un’idea vincente è strettamente legato alla conoscenza, dunque: know-how che un’azienda non può avere totalmente sotto controllo. Bisogna compensare questa lacuna interfacciandosi con risorse esterne. Si potrebbero assumere i migliori professionisti, ma non sarebbero mai abbastanza per verificare sul campo la bontà di un’idea.
Di conseguenza ci troviamo di fronte ad una riflessione: se durante lo sviluppo di un progetto sono necessari dei contributi esterni, perché non avvalorare il concetto e tradurlo in approccio strutturato?
Il cambiamento è iniziato qualche anno fa, quando la diffusione massiva della Rete ha permesso di connettere persone da ogni angolo del pianeta, dal tecnico esperto al semplice consumatore.
Il significato e le intenzioni del co-design sono rimaste le stesse, ma le modalità e i mezzi hanno subito un’evoluzione.
Dal Co-Design circoscritto al Co-Design ramificato
Il cambiamento radicale a cui stiamo assistendo è il passaggio dalla gestione del progetto all’interno di quattro mura aziendali, alla propagazione capillare dello stesso nella Rete. C’è una sostanziale transizione concettuale di collaborazione: si è passati da un Co-Design circoscritto ad un Co-Design ramificato.
Non tutti i settori di sviluppo prodotto sono pronti ad interfacciarsi con una nuova mentalità, ma molti sono i casi di successo.
Facendo riferimento agli ormai conosciuti online social network, si può constatare il coinvolgimento di persone appartenenti a ogni sfera sociale e culturale. Si tratta di bacini estesi che consentono di “studiare” gli utenti e raccogliere i loro feedback. Con il termine social network non si vuol far riferimento solo a Facebook o Twitter, sebbene siano i più diffusi, ma a tutte le comunità orientate alla collaborazione e allo sviluppo di idee. Alcuni sono dei veri e propri centri di sviluppo, in cui non ci si limita a creare o migliorare dei prodotti, ma a contribuire anche a livello organizzativo e di sistema.
L’idea generale di questo cambiamento è coinvolgere a più livelli la mentalità delle persone, rompendo le barriere fisiche aziendali ed estendendo la raccolta delle informazioni alla rete globale. Il processo progettuale, di conseguenza, ne trae beneficio e i vantaggi sono innumerevoli.
Infatti quando un’azienda inizia lo sviluppo di un nuovo prodotto o il miglioramento di uno esistente, i feedback più utili arrivano dall’utilizzatore che si interfaccia con esso. Vengono considerate situazioni personali e spesso estreme, scenari a volte inesplorati dall’azienda, ma che contribuiscono a considerare diversi punti di vista, sfumature e sfacettature originali. La conoscenza aumenta se l’idea è condivisa con la comunità, si innesca quindi un sistema collaborativo e si progetta seguendo le esperienze dei consumatori.
Dal Community Consultation al Community Design
Da questa riflessione si estrapola un ulteriore passo avanti per quanto riguarda il processo di sviluppo prodotto, dal Community Consultation si è passati al Community Design. Ovvero, chiunque può interagire con l’idea, proporre soluzioni o migliorie, cooperare alla definizione di un progetto. Non più quindi focus (group) ma extensive (community).
Questo approccio ha sicuramente un effetto virale: se è l’azienda a innescare questo processo di co-design ramificato, sono poi le persone, spesso appassionate o desiderose di dire la propria, a contribuire spontaneamente generando feedback.
Esistono due categorie distinte di applicazione: la prima indicata a raccogliere feedback per migliorare un’idea, la seconda indicata a ricevere differenti proposte dagli utenti e sviluppare, poi, quella considerata migliore (internamente all’azienda o continuando la collaborazione).
Tale classificazione separa il tipo di risultato atteso perché se da una parte si ha un co-design per contribuire allo sviluppo di un progetto noto, dall’altra si ha un co-design per trovare la soluzione più vantaggiosa.
La piattaforma on-line Quircky
Degna di nota è la piattaforma online Quircky(www.quirky.com), in cui le due categorie sopra menzionate coesistono sequenzialmente. All’interno di questo network si possono proporre idee per nuovi prodotti attraverso schizzi, rendering, analisi, e condividerle con la comunità online. Gli utenti possono votare, a loro volta, le idee che ritengono più innovative e utili, mentre l’azienda, basata a New York, sviluppa il prodotto internamente (se accettato dalla comunità stessa) per poi introdurlo sul mercato. Durante il processo di sviluppo prodotto, qualunque utente può proporre alternative, soluzioni estetiche e funzionali secondo la propria conoscenza ed esperienza.
Il network on-line Innocentive.com
Innocentive (Innocentive.com) è un network online di “risolutori di problemi”: esperti e innovatori che sviluppano progetti in remoto per l’azienda che crea la richiesta. Innocentive si definisce un marketplace dove menti creative risolvono alcuni dei piu importanti problemi globali, con rincompense fino a 1 Milione di dollari in denaro. Le principali organizzazioni che chiedono aiuto alla comunità appartengono ai settori commerciali e governativi. I progetti predominanti riguardano l’innovazione globale e il settore medicale. Il concetto che Innocentive promuove è chiaramente illustrato nel diagramma, che rappresenta anche un ottimo spunto di riflessione.Di casi studio ce ne sono molti altri e ugualmente interessanti, ma la cosa sorprendente è che non vivono solo nel web. Il co-design ramificato si sta strutturando anche nella vita reale. Si chiamano Innovation Hub e sono tra i primi ad applicare questo nuovo approccio. Si tratta, essenzialmente, di network frequentati da professionisti che mettono a disposizione le proprie competenze all’interno della comunità. L’obiettivo di questi Hub è dare la possibilità di incontrare personalmente altre figure professionali, condividere idee e sviluppare nuovi progetti. Spesso i partecipanti sono alla ricerca di iniziative imprenditoriali a cui aggregarsi per contribuire con il proprio know how.
Il progetto TAG – Talent Garden, Innovation Hub
Il concetto di Hub è nato all’estero, ma l’Italia non è rimasta spettatrice. Anzi, negli ultimi tempi si è consolidato sempre più il progetto TAG – Talent Garden, Innovation Hub nato due anni fa a Brescia e presente oggi, con altre sedi, nelle principali città Italiane. La presentazione contenuta nel sito web è molto chiara: “TAG è un ecosistema dove menti brillanti e creative, piene di entusiasmo e di passione, di coraggio e di fantasia, possano aiutarsi e competere allo stesso tempo; sfidarsi e collaborare, confrontarsi e contaminarsi in modo naturale […]” ed ancora “ È fondamentale, riuscire a far connettere e collaborare questi talenti che, se messi in un unico luogo, possono creare un qualche cosa di unico e non controllabile.”