Utilizzo delle stampanti 3d: implicazioni legali

3dtrA cura di Michela Maggi, avvocato – PhD in Intellectual Property Law

Grazie alla stampa 3D, il mutamento della produzione – per la quale in futuro non sarà più necessario predisporre e mantenere specifici impianti, ma che sarà basata su un meccanismo di interazione tra adeguati software e stampanti sempre più tecnologicamente avanzate – comporta delle inevitabili ripercussioni giuridiche concernenti, come vedremo, sia lo strumento stampante che la relativa produzione e riguardanti diversi ambiti, dalla proprietà intellettuale, alla responsabilità da prodotto, ai diritti del consumatore o ai potenziali problemi di ordine pubblico o penale scaturenti da certi utilizzi (si pensi alla stampa di armi). Nel circoscrivere una prima analisi all’ambito dei diritti di proprietà intellettuale, è necessario sottolineare, seppur in maniera molto schematica e non esaustiva che le ripercussioni della stampa in 3D riguardano tutte e tre le macro categorie in cui questo ambito del diritto si dirama: marchi, brevetti e diritto d’autore. Bisogna inoltre ricordare che la stampante 3D è uno strumento a cui le regole già predisposte all’interno di ciascun ambito e ordinamento andranno armonizzate poiché, nonostante tutte le differenze in concreto, la copia non autorizzata di un oggetto tutelato costituisce illecito indipendentemente dal mezzo con cui viene realizzata. Il meccanismo di funzionamento della stampante 3D si basa sulla sovrapposizione in maniera ordinata degli strati di polimeri condensati, in modo da ricreare in maniera perfetta i modelli che l’utente ha creato ex novo digitalmente o scaricato da apposite piattaforme on line.

Implicazioni legali legate alla Tecnologia Fused Deposition Modeling (FDM)

Esistono varie tecniche di stampa 3D. Una delle più diffuse si chiama Fused Deposition Modeling (FDM) e prevede che un ugello depositi il polimero fuso per la stampa del modello 3D su una base di supporto sfruttando materiali granulari. Tale tecnica di stampa è idonea alla creazione di prodotti in materiale plastico. Questo accenno alla parte più tecnica che coinvolge il fenomeno della stampa 3D, è utile per comprendere un importante risvolto giuridico legato alla tecnologia alla base del funzionamento di questa innovativa tipologia di stampanti, essa stessa coperta da protezione brevettuale. Vale qui la pena di ricordare che a seguito della scadenza del primo brevetto originale della tecnologia FDM nel 2009, che ne ha consentito l’esclusivo sfruttamento economico da parte del suo detentore (la società americana Stratasys) per 20 anni, vi è stato lo sviluppo di numerosi progetti open source, con un conseguente sensibile abbassamento dei prezzi, tale da rendere la stampante 3D uno strumento piuttosto diffuso sul mercato. Al primo brevetto (FDM), se ne sono dunque affi ancati altri, detti brevetti “secondari”, come quello legato al Sinterizzazione Laser Selettiva (SLS), che consente la stampa con materiali diversi e più complessi della plastica, l’ultimo dei quali è scaduto a febbraio 2014 aprendo defi nitivamente la strada a una diffusione incontrastata delle stampanti che sovvertiranno inevitabilmente le tradizionali modalità di produzione ed estenderanno l’ambito del brevettabile dal punto di vista delle tecniche e del prodotto fi nito (è recente la notizia della stampa di prodotti alimentari e di quella, ipotizzata per il futuro, di organi umani). Il punto cruciale della questione è che il prodotto fi nito ovvero ottenuto attraverso il meccanismo di stampa 3D, potrebbe ledere un diritto di proprietà intellettuale altrui, che sia un brevetto, un marchio o un diritto d’autore. Ed allora si può innanzitutto fare una fondamentale distinzione, legata alla sussistenza o meno di una fi nalità commerciale. Non sarebbe ragionevole infatti, sanzionare indiscriminatamente ogni condotta del soggetto che abbia a disposizione una stampante 3D, valutando l’utilizzo della stessa a fi ni di produzione privata (come la creazione di un oggetto personalizzato), alla stregua di una produzione con fi nalità commerciali (ad esempio una produzione in serie di oggetti coperti da un brevetto al fi ne della loro immissione sul mercato). Risulta infatti chiaro come un uso commerciale sia indiscutibilmente idoneo a ledere i diritti di privativa altrui che derivino da marchio, brevetto o da diritto d’autore, in maniera più netta ed incisiva sul patrimonio del titolare di tali diritti, tanto da integrare inequivocabilmente una condotta lesiva. D’altra parte, risulta anche chiaro che non sarà facile e sarà quasi impossibile impedire ogni duplicazione non autorizzata. E dunque, per consentire un parziale ristoro della situazione lesiva, si potrebbe ipotizzare l’applicazione in via analogica del diritto al compenso (oggi previsto dalla legge sul diritto d’autore) dovuto dal consumatore, per la facoltà di riprodurre legalmente e sempre per uso personale, senza il preventivo consenso del titolare del diritto di riproduzione. Inoltre, il pagamento di un compenso al titolare del diritto di riproduzione, è dovuto tradizionalmente anche da chi fabbrica o importa nel territorio dello stato, allo scopo di trarne profi tto, apparecchi di registrazione e supporti vergini; tale principio potrebbe essere applicato efficacemente anche all’ambito della stampa 3D per consentire al titolare dei diritti di proprietà intellettuale su un determinato tipo di prodotti, di ricevere una sorta di indennizzo (in cambio della rinuncia al suo diritto di privativa) da parte di coloro che producono e commercializzano le stampanti.

Il caso del Penrose Triangle

Per introdurre un’ulteriore questione controversa legata al fenomeno della stampa 3D, vale la pena di ricordare il caso del Penrose Triangle (consistente nella riproduzione grafica di un triangolo che assume le sembianze di un oggetto in tre dimensioni a causa di un’illusione ottica). L’immagine del triangolo, apparsa per la prima volta nel 1958 sul British Journal of Psychology, nel febbraio 2010 venne caricata su Shapeaways, un sito funzionale alla stampa in 3D, che rese acquistabile per 70 dollari il modello virtuale da cui ottenere il triangolo. A distanza di poco tempo, Arthur Tchoukanov caricò un modello identico per ottenere il Penrose Triangle su Thinginverse, un sito analogo a Shapeways ma gratuito, e ricevendo di conseguenza un DMCA- takedown notice dai responsabili del sito a pagamento, ovvero una notifi ca per la rimozione del modello in violazione del diritto d’autore. La vicenda si concluse alcuni giorni dopo quando i responsabili di Shapeways resero noto che l’ideatore del modello virtuale del Penrose Triangle aveva deciso di rinunciare alla privativa, rilasciando così al pubblico dominio il modello da lui ideato. Questa vicenda impone una rifl essione giuridica, non banale né facilmente risolvibile, sulla questione delle modalità di protezione accordate al modello virtuale e all’oggetto stampato che ne deriva. Infatti, la stampa 3D non può prescindere dal fi le digitale contenente il modello virtuale e come già accennato, tale fi le può essere creato tramite un proprio lavoro utilizzando un software CAD, non dando luogo ad alcuna complicazione giuridica, oppure per via “secondaria” attraverso la scannerizzazione 3D o il download da siti web che rendono disponibili i modelli virtuali. È proprio questa seconda via che necessita di maggiore attenzione e regolamentazione. Negli Stati Uniti, dove queste stampanti hanno un mercato più diffuso che in Europa, è stata ipotizzata una tecnologia diretta alla gestione dei diritti “digitali” detta appunto DRM (Digital Right Management) e basata, tra l’atro, sull’inserimento di watermarks nascosti all’interno dei modelli virtuali al fi ne di tracciarne il percorso fi no alla stampa, così da poter risalire facilmente al titolare della violazione dei diritti di proprietà intellettuale. Molte sono insomma le questioni legate alla stampa 3D, compresa quella dei pezzi di ricambio di cui parleremo insieme ad altre, nelle prossime edizioni.