Una nostra recente indagine su Robot e Lavoro ci ha permesso di raccogliere le considerazioni su questa tematica dei principali player della robotica che operano in Italia, quindi di chi vive il cambiamento direttamente sul campo. Quanto proponiamo come sintesi riguarda le risposte che abbiamo ricevuto a una nostra specifica domanda: “Sempre più spesso ci si imbatte in approfondimenti e analisi sul fatto che i robot tolgono posti di lavoro. Vero? Falso? A questo punto non è meglio mettersi il cuore in pace, accettare la cosa e organizzare per il futuro un diverso approccio sociale al lavoro?”

Il panorama è cambiato

Probabilmente in una prima fase della diffusione dei sistemi robotizzati nei processi produttivi, l’affermazione che i robot causano la perdita di posti di lavoro ha avuto una sua consistenza, ma solo riferendosi a un obiettivo sostanzialmente limitato e quindi non accettabile in prospettiva: l’abbassamento del costo della manodopera. Puntare a questo solo obiettivo oggi non è più realistico perché il panorama è cambiato. Posto che è oramai ben chiaro che occorre avere sempre più robot in fabbrica, è altrettanto sempre più evidente che servono esperti in grado di gestirli per consentire alle aziende di ottenere quei benefici di qualità e produttività che pur potenzialmente impliciti nei sistemi robotizzati non necessariamente sono garantiti dalla sola presenza di questi sistemi. Ne consegue come obiettivo prioritario la creazione di esperti con competenze tali da permettere loro di gestire e condurre i robot, quindi nuove figure professionali che prima non esistevano. Da non dimenticare poi l’emergente contesto della robotica collaborativa che è incentrato proprio sull’interazione tra il robot e l’uomo, quest’ultimo presenza necessaria e centrica in azienda. In prospettiva si può affermare con sicurezza che vi è un ampio spazio per la diffusione della robotica e soprattutto per l’impiego di esperti in questo settore..

Un’ingiustificata conflittualità

Considerando l’ambito della logistica, dove saranno i robot i principali protagonisti per gli evidenti risparmi gestionali che potranno garantire ma anche per una maturazione della velocità dei flussi, sarebbe impensabile oltre che sostanzialmente illogico che player che operano per esempio nel mercato del Business to Consumer, e un caso emblematico potrebbe essere Amazon, rinuncino al dispiegamento di robot nelle operazioni di gestione dei magazzini. Questo vorrebbe dire mantenere le stesse modalità operative di quando la disponibilità di adeguati sistemi robotizzati era limitata o economicamente non sostenibile, impiegando la stessa forza lavoro con invariate competenze e accettando così di sostenere i costi di una mancata innovazione logistica. Ma questo dato di fatto, che è ovviamente generalizzabile ad altre tipologie di aziende e di processi industriali, non è serenamente e razionalmente valutato, e ha purtroppo deviato la discussione verso un’ingiustificata conflittualità, da considerarsi tale in quanto l’implementazione dei robot non può che prevedere comunque la presenza di forza lavoro, anche se sempre più specializzata e focalizzata su nuove mansioni. Le regole del mercato del lavoro stanno cambiando, come del resto sono inevitabilmente cambiate a ogni rivoluzione industriale, ma non per questo si deve assumere un atteggiamento di disinteresse: occorre tutelare i lavoratori, specialmente le nuove generazioni, e questo sarà possibile solo con una continua formazione di vere e proprie élite di professionisti. E, a evidenziare un certo provincialismo che caratterizza il nostro Paese sulle questioni tecnologiche, la polemica in atto, sterile e immancabile nel dibattito nostrano, è votata solo a far perdere tempo prezioso che andrebbe invece investito per generare nuove opportunità formative.

Nel dibattito si sbaglia obiettivo

Le macchine fanno molte cose al posto degli esseri umani, e spesso lo fanno meglio e in tempi rapidissimi, ma il problema è che distruggono occupazione: una frase di questo genere è al di là di ogni logica perché nel dibattito sulla perdita di posti di lavoro a causa dell’innovazione tecnologica, si trascura che i robot tolgono spazio alla manodopera non al lavoro. Organicamente, tutto il processo di formazione tecnica e culturale non deve più, ma purtroppo in molti casi il ritardo è netto, formare persone che abbiano da offrire al mondo del lavoro quasi solo le proprie braccia, perché nell’attuale mondo del lavoro occorre una profonda conoscenza di varie tecnologie, delle lingue e della domanda globale. È su questi punti ormai che si svolge la sfida del mondo del lavoro. Ma c’è dell’altro: nello specifico della robotica, questa rende più accessibile il fare impresa, mettendo sul piatto delle trattative con le fonti di finanziamento un maggiore livello di asset aziendali e un minore livello di costi di produzione. Insomma, un quadro economico più solido e meno sbilanciato su fattori immateriali. Il che, viene da più parti affermato, non guasta.

La necessità di una visione strategica

In un mondo in così rapida evoluzione e con una propensione all’innovazione portata all’estremo, una prima analisi semplicistica potrebbe portare a dire che i robot tolgono posti di lavoro, ma in realtà molteplici sfaccettature della questione vanno analizzate. In primis occorrerebbe tener conto di tutti quei lavori ripetitivi, alienanti e altamente logoranti che sempre più sono stati delegati ai robot liberando l’operatore umano. Poi, in una visione aziendale strategica e illuminata, i lavoratori sostituiti dalle macchine vengono ricollocati in azienda con altre mansioni di superiore profilo anche dal punto di vista delle condizioni di lavoro. Inoltre, nello scenario lavorativo generale si deve anche mettere nel bilancio l’affermarsi di nuove tipologie di lavoro nate grazie all’utilizzo dei robot, per asservimento, manutenzione e programmazione del robot stesso. In sintesi si dovrà ripensare il concetto stesso di lavoro, partendo dalla scuola e dall’università, senza vivere nel terrore che le macchine ci sostituiscano, ma con la consapevolezza che i sistemi artificiali non potranno mai emulare la creatività umana.

Rimane inalterata la centralità dell’uomo

Tutte le rivoluzioni industriali, da quella di Watt con la sua macchina a vapore all’attuale Industry 4.0, hanno sempre previsto un ruolo centrale della macchina come sostituto alla fatica umana, e questo perché l’uomo ha come caratteristica intrinseca un’evoluzione finalizzata a migliorare il proprio tenore di vita. La robotizzazione e l’aumento della densità d’automazione nei processi produttivi non eliminerà posti di lavoro ma, al contrario, sarà in grado di crearne molti di più. L’uomo verrà sostituito in operazioni alienanti e prive di valore aggiunto ma resterà insostituibile per la gestione, la manutenzione e la progettazione della nuova fabbrica del futuro. Ovviamente le qualifiche e le conoscenze richieste saranno maggiori e di più alto livello, ma queste sono le sfide che le nuove generazioni dovranno affrontare per potere essere competitive nel nuovo, e sempre in evoluzione, mercato del lavoro.