Quale analisi per gli alberi a gomiti?

Da sempre l’albero a gomiti rappresenta uno degli organi di macchina più insidioso e stimolante per i progettisti meccanici. Ciò è dovuto ai molteplici aspetti e alle tante problematiche che emergono durante la progettazione e la costruzione di questi elementi, la cui soluzione richiede conoscenze approfondite nel campo dei materiali, dei trattamenti superficiali, della dinamica delle macchine, dell’analisi dello stato di sforzo e della progettazione a fatica. Ma partiamo con ordine, e vediamo dapprima le maggiori peculiarità progettuali e costruttive degli alberi a gomiti

di Gianni Cornalba

Qualche richiamo comportamentale e costruttivo

Come noto, l’albero a gomiti è un organo di macchina che funge da manovella, trasformando, attraverso la biella, il moto alterno dei pistoni in moto rotatorio.

La realizzazione di tale funzione conferisce all’albero a gomiti, a volte chiamato albero a manovella, la particolare configurazione geometrica illustrata in Figura 1, in cui si riconoscono i perni di banco e di manovella, i fianchi (detti più comunemente maschette) e l’estremità alla quale, nel caso della fotografia, sono collegati gli organi della distribuzione. La peculiare geometria, assieme alla variabilità nel tempo dei carichi applicati, è la causa di alcuni aspetti caratteristici del comportamento dell’albero a gomiti.

Infatti, i carichi applicati variano ciclicamente nel tempo e, nella maggior parte dei casi, le condizioni di lavoro inducono forze d’inerzia importanti, che devono essere tenute in considerazione nel progetto dell’albero. In altre parole, la configurazione geometrica, con forti eccentricità rispetto all’asse di rotazione, induce, a causa dei carichi dinamici, vibrazioni flessionali e/o torsionali che, a seconda dei casi, possono divenire importanti e, se sottostimate, possono condurre a cedimenti precoci. Tali effetti possono essere ridotti con dei contrappesi. Tuttavia, risulta evidente, la necessità di un approccio progettuale in grado apprezzare quantitativamente tali effetti  e che conduca ad un utilizzo degli alberi a gomito lontano dalle cosiddette velocità critiche, flessionali e, torsionali. Queste ultime sono, in genere, quelle che inducono i maggiori effetti dinamici, in particolare per motori con 6 o più cilindri.

Ma vi è un altro aspetto legato alla geometria dell’albero a gomiti. Infatti, il suo complesso sviluppo geometrico fa si che non possa soddisfare i requisiti per l’applicazione delle formule teoriche per il calcolo degli sforzi dovuti a flessione e torsione. Sarà, quindi, necessario, ricorrere ad analisi capaci di quantificare l’effetto di sovrasollecitazione indotto dai dettagli geometrici (in particolare in corrispondenza dei raggi di raccordo tra i perni e le maschette, sede, nella maggior parte dei casi, dei cedimenti per fatica degli alberi a gomiti).

Tali problematiche sono più o meno sentite a seconda delle potenze in gioco e del conseguente dimensionamento dell’albero a gomiti, che può essere prodotto in un sol pezzo oppure in più pezzi assemblati. Le dimensioni dell’albero determinano anche il processo tecnologico di ottenimento e il materiale utilizzato.

Senza voler entrare nei dettagli, è anche possibile affermare che le problematiche strutturali legate alla fatica determinano l’applicazione di trattamenti superficiali, quali la nitrurazione, la rullatura o la pallinatura.

Le tipologie di analisi a elementi finiti

Quanto sopra riportato, pur senza aver alcuna pretesa di essere esaustivo e di tracciare un quadro completo degli aspetti coinvolti nel progetto degli alberi a gomiti, permette di apprezzare la complessitĂ  progettuale di questo elemento meccanico e, con essa, anche quanto le analisi a elementi finiti possono contribuire a migliorare il risultato finale.

Tuttavia, è evidente che il successo di un’analisi di questo tipo richieda una corretta impostazione, la quale dipende dalle finalità dell’analisi stessa. In altre parole, un’analisi a elementi finiti di un albero a gomiti avrà un’impostazione differente a seconda dello scopo finale, che la si voglia utilizzare per calcolare le frequenze proprie, per calcolare le azioni interne di flessione e torsione legate ai carichi applicati per poi eseguire la verifica a fatica con la metodologia tradizionale che fa riferimento alla definizione del coefficiente di intaglio, oppure per determinare gli sforzi locali nei punti critici durante un ciclo di lavoro, per poi eseguire la verifica a fatica.

1. Analisi delle frequenze proprie

Se il fine dell’analisi è la determinazione delle frequenze proprie, il requisito primario del modello è il rispetto della distribuzione delle masse e delle rigidezze lungo lo sviluppo dell’albero. Un modello a travi (elementi beam) può, quindi essere sufficiente, a patto di modellare correttamente lo sviluppo delle masse lungo l’asse dell’albero e la loro eccentricità. Per raggiungere tale obiettivo è bene rinunciare a una schematizzazione delle masse a parametri concentrati e ricorrere a un modello in cui le inerzie sono assimilate a un carico distribuito la cui intensità agli estremi di ogni elemento è proporzionale a le accelerazioni nodali.

2. Analisi per il calcolo delle azioni interne

Se il fine dell’analisi è il calcolo delle azioni interne che derivano dai carichi applicati, il primo passo è l’analisi del meccanismo per la determinazione dei carichi che si scaricano dalla biella all’albero a gomiti. Ciò può essere fatto o applicando i concetti e le formule relative alla cinematica e alla dinamica del manovellismo, oppure con un solutore multibody, soprattutto per i casi più complessi. E’ poi bene definire un sistema di riferimento solidale con le direzioni assiale, normale e tangenziale rispetto a una delle manovelle e scomporre le forze rispetto a queste direzioni. Infine, bisogna definire le condizioni di vincolo che ben descrivano quelle realizzate dai cuscinetti.

A questo punto può essere impostata un’analisi statica dell’albero a gomiti che utilizzi elementi “beam”; questa va ripetuta per tutto il ciclo di lavoro dell’albero al variare dell’angolo di rotazione, in funzione del quale varieranno le componenti delle forze assiale, normale e tangenziale.

Ciò consentirà di ricavare come variano le azioni interne durante il ciclo. Note le azioni interne è possibile, applicando le formule della teoria, calcolare gli sforzi nominali (flessionali e torsionali) massimi e minimi in un ciclo di lavoro nei punti critici. Con tali valori, se si conoscono i coefficienti di intaglio flessionale e torsionale della geometria di interesse si può eseguire la verifica a fatica applicando la procedura tradizionale (essendo l’argomento complesso e ai margini della presente colonna, si rimanda a testi specializzati per approfondimenti).

3. Analisi per il calcolo degli sforzi locali

Se, invece, si vuole finalizzare l’analisi al calcolo degli sforzi locali, da utilizzare direttamente per la verifica a fatica, una volta determinate le forze che si scaricano sul perno di manovella (nello stesso modo descritto nel caso precedente), è necessario definire un modello che utilizza elementi finiti solidi (tetraedri a 10 nodi, solidi a 8 o 20 nodi), grazie al quale  si può calcolare l’andamento degli sforzi in un ciclo di lavoro nei punti critici. Tali valori possono poi essere direttamente utilizzati per la verifica a fatica, spesso utilizzando qualche post-processore dedicato alla resistenza a fatica, in modo da integrare tale fase nel processo di progettazione. Infine, è bene sottolineare che, quando si utilizzano elementi solidi, l’accuratezza dei risultati dipende fortemente dalla dimensione degli elementi finiti utilizzati, in particolare nei punti critici. E’, quindi, bene eseguire un’analisi di convergenza dei risultati prima di procedere con la verifica a fatica.