Le imprese italiane come le Repubbliche Marinare

In un tempo lontano c’erano in Italia le Repubbliche Marinare, prosperi stati la cui ricchezza era basata sull’arte di navigare, messa al servizio del commercio. Furono, per quel tempo, delle grandi e ricche potenze, abili nel trasporto marittimo e in grado di guerreggiare e dominare in Europa. In particolare, Venezia arrivò a possedere un territorio che si estendeva dalle porte di Milano fino all’intera Dalmazia. E, come sempre in questi casi, parallelamente allo sviluppo economico fiorirono le attività artistiche e architettoniche, le cui testimonianze sono ancora oggi ammirate dai turisti di tutto il mondo.

Ma le virtù marinare dei veneziani, così come delle altre Repubbliche Marinare, pian piano si affievolirono. Alcuni testi dicono che la causa principale della decadenza fu il benessere economico e la sempre minor voglia di dedicarsi a un mestiere, comunque, pericoloso e faticoso. Altri dicono che l’evoluzione storica e la formazione di stati unitari organizzati finì per divenire un elemento di debolezza per chi, come accadde in Italia, non fu in grado di fare altrettanto, legato al campanile e incapace di cambiare verso forme organizzative più evolute.

Di fatto, sicuri dell’esperienza e del know-how acquisiti sui mari, smisero di fare i marinai (o, almeno, i Marinai con la M maiuscola) per divenire solo mercanti e cambiavalute, lasciando il trasporto marittimo agli olandesi, ai portoghesi e poi agli spagnoli. Ma ben presto questi ultimi li superarono anche in questi campi, grazie all’intraprendenza che li portò a scoprire nuove e più convenienti rotte di navigazione e alla capacità di organizzare un più efficiente stato centrale, che, sicuramente impose delle tasse, ma che costruì quelle infrastrutture necessarie alla crescita. Sappiamo poi il seguito della storia, con l’Italia, che pian piano divenne un’”espressione geografica”, invasa e dominata per secoli fino alla sua unità, 151 anni fa, e la sua storia recente, tra sviluppo industriale e irrisolte contraddizioni.

Leggendo il saggio da cui ho tratto le precedenti note (spero di averle riportate senza troppe imprecisioni) che descrivono la parabola delle Repubbliche Marinare, non ho potuto fare a meno di confrontare quanto avvenne allora con l’attuale situazione italiana.

Dopo la seconda guerra mondiale siamo stati in grado (o meglio, lo sono state le generazioni che ci hanno preceduto) di avviare un lungo periodo di prosperità e di crescita, grazie anche alle capacità di un’industria meccanica manifatturiera creativa, flessibile, versatile, caratterizzata da una miriade di piccole e medie imprese, capaci di competere con i grossi gruppi tedeschi ed extraeuropei.

Ma questo modello, oggigiorno, scricchiola. Molti hanno rinunciato a produrre, avviando una delocalizzazione verso i paesi emergenti e a basso costo, convinti di mantenere il know-how e che ciò basti per restare competitivi. Incuranti del fatto che, senza produrre, da un lato il know-how pian piano si affievolisce e dall’altro aumenta quello di chi davvero produce, che prima o poi non si accontenterà di una misera fetta della ricchezza che produce. Insomma, illudendosi che sia possibile vivere di rendita e che il benessere sia un diritto acquisito e non una conquista da coltivare tutti i giorni.

Non solo, in un mondo globalizzato,  che richiede un grosso sforzo in ricerca e sviluppo per restare competitivi è difficile che le piccole e medie imprese italiane abbiano la massa critica, la mentalità e i mezzi per competere. Sarebbe opportuno fare sistema, creare strutture consorziate tra aziende del medesimo settore capaci di finanziare ricerche di comune interesse, che ogni azienda partner sfrutterà al meglio. Ciò è comune in Germania. Ma, almeno per quella che è la mia esperienza, è raro in Italia. Un po’ come accadeva in passato, sembrano tutti difendere il loro piccolo campanile, senza guardarsi intorno e capire che solo con uno sforzo comune si possono affilare le armi per restare competitivi.

In questo caso la fine della storia non è nota, sarebbe bello che si riuscisse a far tesoro delle lezioni del passato.