La seconda vita del riso

Piante ornamentali in vasi Vipot di lolla di riso della linea Decor
Piante ornamentali in vasi Vipot di lolla di riso della linea Decor

Dallo scarto di lavorazione di uno dei cereali più coltivati al mondo, si possono fabbricare vasi biodegradabili per il florovivaismo. La ricerca incoraggia l’idea e il mercato comincia a recepirla.

La buccia che racchiude i chicchi del riso si chiama lolla e sulle nostre tavole non arriva perché è scartata durante la lavorazione del cereale. La lolla costituisce dal 17 al 23% del risone, il riso grezzo appena raccolto, dal quale è separata con il processo meccanico della sbramatura: due dischi abrasivi, gli sbramini, scorticano il chicco grezzo. A livello mondiale si tratta di una quantità enorme di materiale di scarto, circa 80 milioni di tonnellate all’anno (in Italia dalle 260.000 alle 280.000 tonnellate), che sono usate come fondo per le lettiere degli animali da fattoria, oppure bruciate negli impianti di cogenerazione interni alle riserie per poi fornire ceneri utili come materiale refrattario, o ancora utilizzate per ricavarne furfurolo, un solvente impiegato nella produzione di nylon e altre resine.

Oggi ci si è accorti che la lolla di riso è un materiale di scarto molto “prezioso” nel florovivaismo, grazie soprattutto ad alcune sue caratteristiche: è molto resistente, praticamente inattaccabile dagli insetti e immarcescibile. Per questo in Veneto nel 2011 è partito il progetto FloSo (Florovivaismo Sostenibile) che coinvolge, tra gli altri, l’Università di Padova, due aziende produttrici di piante e Florveneto, l’associazione che raggruppa le aziende florovivaistiche del Veneto. Cofinanziato dalla Regione Veneto al 75% per circa 175.000 euro nell’ambito del Programma di sviluppo rurale 2007-13, il progetto intende testare sul campo dei sostituti più sostenibili delle due risorse non rinnovabili su cui si basa oggi la coltivazione di piante ornamentali: la torba e la plastica dei vasi. La lolla può sostituirli in entrambi gli usi.

Substrato e materia prima

Nel caso del substrato in cui cresce la pianta, la lolla può rimpiazzare, in quantità variabile, la torba, perché è ricca di alcuni minerali tra cui potassio e silicio, e sembra avere un effetto di protezione della pianta dai patogeni, come funghi e insetti. Anche se non è adatta a tutti i tipi di coltivazioni.

Ma può essere anche la materia prima di vasi biodegradabili e compostabili, capaci di non sgretolarsi nel terreno dopo pochi giorni. Un’alternativa ai vasi biodegradabili fatti per esempio con le piume dei polli o a quelli ricavati dal letame.

Design ecologico

Nel progetto FloSo sono stati testati i vasi Vipot, prodotti unendo miscele vegetali alla lolla di riso, che danno i risultati migliori in termini di resistenza. «I contenitori hanno dimostrato di funzionare bene tanto quanto quelli in plastica – spiegano i ricercatori del Dipartimento di Agronomia Ambientale dell’Università di Padova che hanno seguito gli esperimenti – richiedendo solo una gestione un po’ diversa dell’acqua. Il materiale, essendo biodegradabile, assorbe l’umidità ed è più poroso: per questo è necessario irrigare più spesso».

I vasi in lolla possono essere riciclati e riusati limitatamente alla loro durata, compostati o semplicemente interrati una volta ripiantumata o rinvasata la pianta. Sono stati inventati al Centro di Ricerca Agrozootecnica di Zhuhai, vicino a Hong Kong, alla fine degli anni ‘90 e sono protetti da un brevetto internazionale. Prima che sul mercato italiano, sono stati presentati negli Stati Uniti, in Australia e Nuova Zelanda. La società bresciana Total Packaging, fornitrice dei vasi per il progetto FloSo, sviluppa e commercializza in esclusiva i prodotti a marchio Vipot in tutta Europa. Per adesso i contenitori sono ancora prodotti in Cina, ma presto potrebbero diventare italiani: «Vorremmo aprire uno stabilimento in Italia, sicuramente in una zona produttrice di riso», spiega Marco Baudino, amministratore delegato della società.

Il design dei vasi è semplice, essenziale e piacevole, ma probabilmente la possibilità di fabbricarli in Italia saprebbe anche conferire a questi prodotti caratteristiche estetiche ancora più accattivanti, perché il nostro Paese da sempre fa scuola nel mondo del design.

«Vipot presenta un grado di finitura molto gradevole, molto calda e per niente “sintetica” – commenta Baudino –. L’eventuale colorazione è effettuata in massa con tonalità costante e uniforme. Il colore naturale è invece di un piacevole marrone “lolla cotta” e ha un buon effetto barriera. Ulteriori necessità di barriera alla luce si possono ottenere con l’applicazione di coloranti scuri».

Nel 2011, il prodotto ha ricevuto una menzione speciale in occasione della versione italiana del premio Cradle to Cradle (“Dalla culla alla culla”), organizzata al salone milanese Change Up!, per il fatto di essere fabbricato con un materiale di scarto e di potersi trasformare in risorsa per la produzione di energia in impianti a biomassa alla fine del suo ciclo di vita.

Ricerca e design si incontrano…

…non solo in Veneto. Anche l’Università degli Studi della Basilicata, Dipartimento di Scienze dei Sistemi Colturali, Forestali e dell’Ambiente, sezione di Ortofloricoltura, ha svolto una ricerca comparativa per la coltivazione della stella di Natale, la poinsettia, in vasi convenzionali e in vaso Vipot, dimostrando come le piante coltivate nel contenitore biodegradabile abbiano molto beneficiato delle sue proprietà.

Eutopia per la natura

A gennaio scorso a Essen, in Germania, in occasione della Fiera Internazionale di Vivaismo è stato lanciato Eutopia (dal greco: eu-tòpos, luogo buono), «Un marchio di piante aromatiche e ornamentali coltivate in vaso Vipot inizialmente da aziende specializzate di Albenga, in provincia di Savona, seguendo i criteri dell’agricoltura biologica o riducendo al minimo l’utilizzo di pesticidi e fitofarmaci. Le piante sono fatte crescere senza forzature (come ripetute esposizioni a luci artificiali o riscaldamento elevato). La prospettiva – continua Baudino – è di trasformare Eutopia da brand a un progetto integrato, includendo altri produttori italiani in linea con la nostra filosofia».

I vantaggi per l’ambiente

I contenitori in plastica sono molto usati nel florovivaismo, perché resistenti e facili da produrre in tutte le dimensioni, forme e colori. Ma il loro uso estensivo aumenta in modo significativo i prodotti di scarto del settore, mettendone in dubbio la sostenibilità ambientale. Informazioni ottenute in California indicano, per esempio, che in media un’azienda scarta oltre 1600 kg di contenitori vari in materiali plastici, mentre le aziende del New Jersey producono mediamente oltre 4,8 tonnellate di contenitori in polistirolo. Materiali che devono poi essere smaltiti dai produttori o dal consumatore finale. Pertanto, il ricorso a contenitori biodegradabili può contribuire a migliorare questo punto critico del settore. Le esperienze condotte per valutare i contenitori hanno prodotto risultati incoraggianti, ma sono ancora limitate e nella florovivaistica i vasi biodegradabili non sono ancora entrati nell’uso comune.

Uno degli aspetti che ne rallenta di più la diffusione è la diffidenza dei produttori a modificare le proprie consuetudini, anche in relazione alla necessità di cambiare le tecniche colturali per adattarle ai nuovi vasi. Infatti, i consumi irrigui possono, per esempio, essere diversi a causa della maggiore porosità dei vasi in lolla e quindi la tecnica di irrigazione deve essere adattata. Inoltre, la lolla di riso può anche essere valorizzata tramite il suo impiego a parziale o totale sostituzione della torba contribuendo a migliorare la sostenibilità del settore. In letteratura sono già riportate esperienze positive, ma è opportuno approfondire le conoscenze soprattutto se sono impiegati contenitori con caratteristiche (es. porosità) diverse da quelle comunemente riscontrate.

«Lo scorso dicembre in Italia sono stati venduti 20 milioni di stelle di Natale in vasi di plastica, il 90% dei quali è stato gettato, sia nello scarto dei produttori sia da parte dei consumatori finali. Ogni chilogrammo di plastica trasformata in vasi per il florovivaismo richiede 1,4 kg di petrolio, con la conseguente emissione di 0,5 kg di gas serra (in equivalenti di CO2). Se tutti utilizzassero vasi Vipot, che si gettano nel compost, eviteremmo di mandare al macero milioni di vasi in plastica», conclude Baudino.