Quaderni di progettazione: la pallinatura degli ingranaggi

Tra le possibili modalità di cedimento degli ingranaggi, quella per flessione al piede dente è la più critica e può portare a schianti improvvisi e catastrofici. A questo proposito, esistono diversi trattamenti superficiali che migliorano la resistenza a flessione degli ingranaggi. Di questi, la pallinatura è tra i più comuni. Lo scopo di questo studio è valutare l’efficacia della pallinatura nel migliorare la resistenza a flessione degli ingranaggi. Per fare ciò, sono state condotte simulazioni agli elementi finiti (FEM) in combinazione con un criterio di fatica multi-assiale basato sul concetto di piano critico.

di Franco Concli

Introduzione

Gli ingranaggi sono componenti meccanici destinati alla trasmissione di potenza meccanica [1]. La coppia viene trasferita attraverso l’ingranamento tra i denti. Questi possono cedere per diverse cause [2][3][4]. In presenza di elevate pressioni di contatto e scarsa lubrificazione, il contatto tra i fianchi porta solitamente ad usura [5][6], pitting [7][8] o micropitting [9]. Inoltre, l’ingranamento dei fianchi induce sollecitazioni pulsanti al piede [10][11]. I cedimenti dovuti alla flessione del dente possono portare a conseguenze catastrofiche: mentre le altre modalità di cedimento sono progressive e portano ad un lento deterioramento delle prestazioni degli ingranaggi, tra cui aumento di rumore, vibrazioni e perdita di precisione di posizionamento, i cedimenti per flessione si verificano in modo repentino e senza preavviso e per questo sono i più pericolosi.

Le elevate sollecitazioni cicliche favoriscono la nucleazione di cricche superficiali. Una volta nucleate, le cricche si propagano sotto la superficie. Quando l’area resistente non è più in grado di sopportare il carico, si verifica il cedimento istantaneo del dente. Questa modalità di cedimento è solitamente definita per fatica da flessione [12].

Nell’industria ingranaggistica, la resistenza alla flessione del dente è il principale criterio di progettazione [13][14]. Questa viene solitamente valutata utilizzando normative tra cui, le più utilizzate sono la ISO 6336-3 [13] e la AGMA 2001 [15]. Entrambe prescrivono metodi semplificati per valutare la sollecitazione effettiva al piede σF e forniscono dati tabulati per le sollecitazioni massime ammissibili σFP che i materiali più comuni sono in grado di sopportare. Tuttavia, secondo la norma ISO 6336-5 [16], per materiali inusuali e trattamenti speciali, σFP deve essere determinata sperimentalmente. La sollecitazione ammissibile σFP dipende direttamente dal limite di fatica del materiale σFlim. La sua determinazione è possibile con diverse tipologie di prova.

Le più comuni sono le prove con ingranaggi in presa che riproducano il rotolamento, come descritto in [14][17], le prove di STBF, come descritto in [18][19][20] e le prove su provini intagliati, come descritto in [21][22][23]. Negli esperimenti con ingranaggi in presa, il provino è di fatto una coppia di ruote fabbricata con il materiale da caratterizzare. Possono essere applicati anche trattamenti superficiali. Questo tipo di test riproduce le condizioni reali di carico durante il funzionamento. Il ciclo di sollecitazione nella regione del raccordo alla base del dente riflette fedelmente quello a cui saranno sottoposti gli ingranaggi reali durante il funzionamento [24][25]. Sebbene questo sia il tipo di prova che offre i risultati più affidabili, esso risulta oneroso. Per ogni coppia di ingranaggi è infatti possibile stimare un unico valore di sFlim, poiché la prova termina con la rottura di (almeno) un dente, rendendo il provino non più utilizzabile per test successivi. I costi delle prove possono essere significativamente ridotti utilizzando provini al posto degli ingranaggi. Sebbene il test su semplici campioni intagliati possa essere eseguito su qualsiasi dispositivo di prova, la geometria completamente differente limita l’affidabilità dei risultati che non includono alcuni importanti parametri di influenza come, ad esempio l’effetto del processo di fabbricazione, la reale finitura superficiale, la lubrificazione, ecc.

Per ovviare parzialmente a ciò, si utilizzano opportuni coefficienti di correzione [26]. Sebbene questa pratica possa migliorare leggermente i risultati, essi restano lontani dall’essere affidabili quanto quelli ottenibili con prove su ingranaggi in presa. Una soluzione di compromesso è rappresentata dalle prove di fatica STBF [18]. Le prove STBF si basano sull’applicazione di due forze coassiali a due fianchi opposti di due denti di ingranaggio-test. L’applicazione delle forze sfrutta due punzoni e la quota Wildhaber [1] per garantire l’equilibrio del sistema. Questa configurazione utilizza solo due denti per ogni test, il cui cedimento finale non compromette l’intero ingranaggio e risulta quindi possibile testare un’altra coppia di denti della stessa ruota riducendo significativamente i costi della campagna sperimentale. Inoltre, i test STBF non richiedono la lubrificazione ed oltre ad essere molto più economici, sono anche più semplici da eseguire [27]. Sebbene queste prove sembrino essere la migliore configurazione sperimentale, potrebbero sorgere alcuni problemi quando le forze misurate andranno convertite nel limite di fatica del materiale σFlim. Nella maggior parte dei casi ciò avviene con un’applicazione inversa delle norme, che tuttavia richiede la ridefinizione di alcuni parametri con la conseguente introduzione di incertezze. Per questo motivo, in questo studio, invece di basarsi sulle normative, sono state utilizzate simulazioni agli elementi finiti che riproducessero la configurazione sperimentale STBF al fine di determinare il tensore delle sollecitazioni e la sua variazione durante il ciclo di carico. Successivamente, è stato utilizzato un criterio di fatica multi-assiale, i.e. quello di Findlay [28], per mettere in relazione la forza applicata durante la prova e il limite di fatica. In questo modo risulta possibile, per un dato materiale e una data geometria dell’ingranaggio, determinare il livello di forza Flim che, teoricamente, porterà alla rottura del campione in 1M cicli. A titolo di esempio, è stato utilizzato l’ingranaggio secondo [19], ma la procedura può essere generalizzata per qualsiasi geometria di ruota. Il livello di forza Flim precedentemente determinato per ingranaggi non trattati, è stato applicato anche a ingranaggi analoghi sottoposti, a monte della prova di fatica, ad un trattamento di pallinatura. Le tensioni residue indotte dalla pallinatura sono state determinate con una simulazione dinamica non lineare del trattamento superficiale.

I risultati FEM sono stati analizzati anch’essi con il criterio di Findley. Il confronto della sollecitazione equivalente (o meglio del parametro di danneggiamento DP) per l’ingranaggio non trattato e quello pallinato ha permesso di quantificare l’impatto della pallinatura sulla resistenza alla flessione a piede dente.

L’elevato livello di dettaglio delle simulazioni (dimensione della mesh di 10μm), ha permesso di mettere in relazione il leggero spostamento della posizione e dell’orientamento della cricca con lo stato di sollecitazione residua indotto dalla pallinatura.

Il materiale degli ingranaggi considerato in questo studio è un acciaio 34Cr4 [29]. Mentre in esercizio i carichi esterni non provocano alcuna deformazione plastica, la pallinatura induce uno stato di tensione residua nella regione sub-superficiale. Di conseguenza, la relazione sforzo-deformazione è stata modellata con una prima parte elastica (E = 206GPa) e una seconda parte plastica. L’incrudimento è stato modellato attraverso l’equazione di Voce.

Tutte le simulazioni FEM sono state eseguite nell’ambiente open-source Salome-Meca/Code_Aster.

Pallinatura

Prima di eseguire la simulazione delle prove di fatica, è stata eseguita una simulazione numerica del processo di pallinatura. La simulazione del processo di pallinatura è un task molto impegnativo che comporta l’analisi dinamica di parti in movimento (nel presente studio le sfere sono state modellate come rigide). Il numero di parametri che influenzano i risultati della pallinatura è piuttosto elevato e spesso coperto dal segreto industriale. I parametri più rilevanti includono la dimensione delle sfere, la loro densità, la velocità di impatto, l’angolo di impatto, la durezza, il livello di ricoprimento, ecc. Agendo su questi parametri è possibile influenzare le proprietà del componente pallinato, come le caratteristiche di incrudimento, la durezza superficiale, la dipendenza dalla velocità di deformazione, ecc. Per avere un migliore controllo delle tensioni residue dopo la pallinatura, è importante stabilire una relazione tra questi parametri e lo stato di sollecitazione residua. In passato, questo è stato fatto solo con relazioni empiriche, basate su prove sperimentali. Oggi, grazie all’aumento delle risorse computazionali, le applicazioni numeriche a questo problema stanno diventando sempre più diffuse.

Considerando come la misurazione delle tensioni residue richieda un grosso impegno per poter stabilire in modo accurato la relazione tra i parametri di pallinatura e i campi di sollecitazione indotti, il metodo degli elementi finiti (FEM) sembrerebbe poter rappresentare una valida alternativa.

Hardy et al. [30] sono stati tra i primi a simulare il problema dell’impatto di un corpo rigido su una piastra di materiale elastoplastico tramite FEM. Un esempio di analisi che sfrutti un software commerciale è stato mostrato anche da Edberg et al. [31]. Edberg et al. hanno simulato l’impatto di una singola sfera su materiali visco-plastici ed elasto-plastici. Tuttavia, le combinazioni di parametri analizzati non rappresenta la gamma tipica utilizzata nei moderni trattamenti di pallinatura. Studi più completi sono stati eseguiti alla fine degli anni Novanta da Al-Hassani [32] e Guagliano et al. [33]. Altri esempi di simulazioni agli elementi finiti della pallinatura che considerassero la deformabilità delle sfere sono stati riportati da Deslaef e Rouhaud [34][35]. Nei loro studi, Deslaef e Rouhaud hanno evidenziato la limitata accuratezza dei modelli empirici nel prevedere il campo sforzo-deformazione. Un altro esempio di simulazione FEM della pallinatura è stato pubblicato da Meguid et al. [36][37].

Alcuni studiosi [32][33][35][21][37] hanno simulato impatti multipli in cui la posizione degli shot è stata specificata a priori e l’interazione tra essi non considerata. Un’alternativa al FEM è rappresentata dal metodo degli elementi discreti (DEM) [38]. Alcuni studiosi hanno mostrato la possibilità di combinare FEM e DEM [39].

Nel presente lavoro, il processo di pallinatura è stato modellato assumendo una distribuzione casuale (a priori) delle sfere. Queste sono state modellate come infinitamente rigide ed aventi un diametro pari a d = 0,8 mm. La velocità iniziale è stata ipotizzata pari a v = 50m/s.

La distribuzione delle tensioni residue e le corrispondenti deformazioni plastiche all’interno della regione target, ovvero il raccordo a piede dente, sono mostrate nella Figura 1. Figura 2 mostra il profilo delle tensioni residue in direzione radiale a partire dalla superficie. I valori sono allineati con quelli tipici degli ingranaggi pallinati [43].

Test STBF

 Per semplificare il modello e velocizzare il calcolo, diversamente da [24], si è deciso di applicare direttamente le forze sull’ingranaggio invece di modellare i contatti punzone-ingranaggio. Questa ipotesi può essere fatta considerando che lo scopo della simulazione è quello di studiare lo stato di sollecitazione solo nella regione del piede e che lievi deformazioni del fianco non dovrebbero influenzare i risultati.

I test STBF sono ampiamente sfruttati nella letteratura tecnica e scientifica grazie alla loro semplicità ed economicità. In letteratura si trovano molti riferimenti ai test STBF [44-61]. I risultati dei test STBF devono essere utilizzati in combinazione con gli standard (ad es. [13]) per la progettazione di nuovi ingranaggi. Tuttavia, l’applicazione inversa delle norme per convertire i dati sperimentali nelle proprietà del materiale (σFlim) da utilizzare per la progettazione di nuovi ingranaggi, prevede la necessità di ridefinire alcuni parametri geometrici; la norma, infatti, è applicabile in modo diretto solo agli ingranaggi in presa. Le prove STBF differiscono da tale configurazione in quanto: 1) il punto di applicazione del carico non cambia; 2) il carico non oscilla da zero al valore massimo, ma nell’intervallo 10-100 % del massimo. Nelle prove STBF, infatti, per evitare spostamenti indesiderati dell’ingranaggio, è necessariamente presente un carico minimo (di compressione).

Inoltre, i carichi agiscono con una direzione fissa e variano in modo sinusoidale con ampiezza costante. Ciò si riflette sull’angolo tra la forza e la normale all’asse del dente caricato αFen, che non varia durante le prove e può potenzialmente essere diverso da quello del punto di contatto singolo più esterno considerato nella norma.

Queste differenze incidono sulla quota tra le sollecitazioni di flessione pura e di compressione pura (trascurate dalla norma).

Il metodo più affidabile ed efficace per tenere conto di tutte queste differenze tra ingranaggi in presa e configurazioni test STBF è l’utilizzo di metodi di fatica avanzati.

Il criterio di Fatica di Findley

In generale, la determinazione delle prestazioni a fatica dei componenti meccanici sottoposti a carichi multi-assiali è impegnativa. Diversi studiosi hanno proposto altrettanti criteri di fatica [67-74].

I modelli ad oggi più avanzati si basano sul concetto di piano critico. Si presume che la rottura per fatica nuclei su un piano in cui entrambe le componenti di sollecitazione (normale e di taglio) siano critiche. Sebbene l’applicazione di tali metodi avanzati non sia frequente, la loro applicazione agli ingranaggi è addirittura rara.

Nel presente lavoro, tra tutti i criteri disponibili, è stato decisi di utilizzare quello di Findley. La sollecitazione esercitata su un piano definito da un vettore normale n, avente coordinate (sferiche) ϕn e θn, è definito dal vettore Pn caratterizzato da modulo e direzione variabili nel tempo.

Pn ha una componente normale σn, che varia in modulo ma è caratterizzata da una direzione fissa, e una componente tangenziale (τn) con modulo e direzione variabili nel tempo. Il vertice di Pn descrive una curva chiusa, la cui distanza minima e massima dal piano considerato possono essere identificate come σn.min e σn.max rispettivamente. La proiezione della curva Pn sul piano definisce la curva bidimensionale Γn (Figura 3).

Dalla curva Γn, secondo il metodo MMC, è possibile definire una componente alternata di taglio τn,a e una componente media di taglio τn,m.

Questo procedimento viene ripetuto per tutte le possibili orientazioni (ϕn e θn). Il piano critico viene determinato, tra tutti i possibili piani con orientamenti generici.

Il danneggiamento è calcolabile come DP = τC,a + k σC,max ≤ f, in cui il pedice C indica tra tutti, il piano critico. Questo può essere individuato per via iterativa variando ϕ e θ nell’intervallo [0 ÷ π].

k è un fattore costante che tiene conto delle diverse risposte in termini di rottura a fatica in presenza di pura flessione o pura torsione. f è il limite del materiale definito come di seguito. 

σf è il limite di fatica a carico simmetrico alternato di flessione, e τf il limite di fatica a carico simmetrico torsionale, entrambi ottenibili da semplici test o da letteratura.

Risultati

La configurazione di riferimento (senza pallinatura) è stata confrontata con ruote pallinate

(d = 0.8 mm, v = 50m/s) nelle stesse condizioni di esercizio. Il punto di nucleazione della cricca e la severità del danno sono stati valutati per entrambe le condizioni sfruttando il criterio di fatica di Findley.

I risultati relativi l’ingranaggio di riferimento sono coerenti con i dati sperimentali [63] e mostrano un punto di nucleazione nella “sezione critica” così come definita dalla norma ISO secondo una direzione di propagazione γNP = 43°. L’ingranaggio pallinato mostra un comportamento del tutto diverso. La posizione di nucleazione si trova significativamente al di sopra della “sezione critica” e la direzione di propagazione risulta in γSP = 74° (angolo tra la direzione di propagazione e l’asse del dente).

Questa differenza potrebbe essere giustificata dallo stato di stato di compressione residua che riduce le massime tensioni normali nella regione del raccordo (quella pallinata). In questo caso, anche il parametro di danneggiamento risulta inferiore di circa 5.9 volte rispetto a quello dell’ingranaggio di riferimento. La regione più critica, quindi, non è nel raccordo, bensì leggermente al di sopra, dove, a fronte di un rapporto sezione/curvatura maggiore, la storia di carico risulta più critica.

Lo spostamento della posizione di nucleazione verso un diametro maggiore è un fenomeno tipico degli ingranaggi cementati e nitrurati, dove l’aumento delle prestazioni del materiale nella regione del raccordo agisce in modo analogo alle sollecitazioni residue di compressione indotte dalla pallinatura.

Conclusioni

Questo studio si concentra sullo sviluppo di un modello efficace e affidabile per la simulazione dell’impatto della pallinatura sulla resistenza alla flessione a piede dente degli ingranaggi.

Lo stato di sollecitazione indotto dal processo di pallinatura viene simulato mediante simulazioni dinamiche esplicite utilizzando il solutore open-source Code_Aster. Lo stato di sollecitazione è stato analizzato con il metodo di Findlay.

Come caso di riferimento si è scelta la configurazione STBF.

Le simulazioni del processo di pallinatura hanno evidenziato uno stato di tensione residua di compressione con un picco leggermente al di sotto della superficie. Questo è il profilo tipico dei componenti pallinati.

La presenza di uno stato di sollecitazione compressivo ha un impatto significativo sulla resistenza

dell’ingranaggio: il ciclo di carico in presenza di tensioni residue risulta significativamente attenuato. Il sito di nucleazione, che tipicamente si trova sulla sezione critica come definito dalla norma ISO 6336, risulta spostato verso un diametro maggiore.

Questa evidenza è allineata con i cedimenti degli ingranaggi cementati e nitrurati, dove la cricca si manifesta laddove la superficie non è più trattata. Anche se i risultati effettivi sono specifici per la geometria, il materiale e ai parametri di pallinatura considerati nell’esempio illustrato, la procedura è di validità generale e può essere applicata a qualsiasi configurazione, consentendo una migliore comprensione dell’impatto della pallinatura sulle prestazioni a fatica degli ingranaggi.

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