Greenwashing e sostenibilità

Il greenwashing, un termine che unisce “green” (verde) e “whitewashing” (imbroglio), è una pratica sempre più diffusa con la quale si cerca di presentare un’immagine ambientalmente responsabile senza necessariamente agire in modo sostenibile. Questo fenomeno è diventato una questione di rilevanza crescente poiché le preoccupazioni ambientali hanno assunto un ruolo centrale nella società e nei consumatori.

di Marco Rossoni

Il fenomeno greenwashing: le cause

L’emergere del greenwashing può essere attribuito a diversi fattori, tra cui una maggiore consapevolezza pubblica delle questioni ambientali, la pressione sulle aziende per adottare pratiche sostenibili e la crescente domanda di prodotti eco-friendly. Le componenti chiave che descrivono il fenomeno vanno da affermazioni fuorvianti, ossia fare affermazioni false o esagerate sui benefici ambientali di un prodotto, all’utilizzo di immagini ingannevoli, ossia utilizzare immagini che evocano un senso di eco-sostenibilità, come palette di colori verdi o immagini della natura, o ancora l’utilizzo di un linguaggio ambiguo con termini che suonano responsabili dal punto di vista ambientale ma mancano di chiarezza. L’emergere del greenwashing può essere ricondotto a diversi fattori, tra cui un aumento della consapevolezza pubblica delle questioni ambientali, la pressione sulle aziende per adottare pratiche sostenibili e la crescente domanda di prodotti ecologici.

Il marketing “verde” e l’effetto rebound

Il marketing “verde” spesso invita i consumatori ad acquistare prodotti “sostenibili” per stimolare la domanda continua di nuovi prodotti destinati a non durare – o realizzati con “obsolescenza programmata” [1]. Questa pratica è nota come “effetto rimbalzo”, definito come la riduzione dei guadagni attesi da nuove tecnologie efficienti a causa di cambiamenti nel comportamento delle persone o della necessità di continuare a produrre nuovi prodotti. Ciò è supportato da ipotesi politiche ed economiche secondo cui il consumo “verde” è desiderabile e innocuo dal punto di vista ambientale [2]. L’effetto rebound è spesso associato al greenwashing, termine coniato da Jay Westerveld nel 1986, che descrive la pratica aziendale di fare affermazioni di sostenibilità per coprire un bilancio ambientale discutibile [3]. Una di queste affermazioni discutibili è che la produzione “orientata al profitto”, e di conseguenza la crescita economica, possano essere disaccoppiate dal consumo di risorse naturali. L’evidenza empirica dimostra che il disaccoppiamento assoluto dell’economia dal consumo di risorse è molto complesso [4]. Per affrontare questa sfida, i quadri di riferimento dell’economia circolare e del Cradle to Cradle (C2C) hanno offerto una speranza.

La progettazione sostenibile: un approccio

Il greenwashing e la progettazione sono due concetti che possono intersecarsi quando si tratta di prodotti, marchi o iniziative che cercano di apparire più sostenibili o ecologiche di quanto non siano in realtà. Quando si tratta di progettazione, un designer o un’azienda di design potrebbero essere coinvolti nel greenwashing se creano prodotti o soluzioni che sembrano sostenibili, ma in realtà non lo sono. Ad esempio, potrebbe essere un’azienda di mobili che afferma di utilizzare materiali ecologici, ma in realtà fa un uso minimo di tali materiali o non ha una gestione ecologicamente responsabile dei rifiuti prodotti durante la produzione. D’altro canto, la progettazione sostenibile è un approccio che mira a creare prodotti, servizi o ambienti che siano effettivamente più sostenibili dal punto di vista ambientale, sociale ed economico. Questo può includere l’uso di materiali riciclati, il design per la riciclabilità, l’ottimizzazione dell’efficienza energetica, la riduzione degli sprechi, e così via. La progettazione sostenibile è orientata a creare soluzioni che riducano l’impatto ambientale complessivo e promuovano uno stile di vita più ecologico cercando di creare prodotti, edifici, sistemi e soluzioni che cerca di massimizzare l’efficienza, ridurre l’impatto ambientale e migliorare la qualità della vita umana, rispettando al contempo i principi di responsabilità sociale ed economica. Questo approccio integra considerazioni ambientali, sociali ed economiche per creare soluzioni che siano sostenibili a lungo termine.

Il primo aspetto, a cui viene immediato pensare quando ci si approccia alla progettazione sostenibile è l’efficienza nell’uso delle risorse: si dovrebbe cercare di ridurre al minimo gli sprechi di energia, acqua, materiali e altri input. In realtà, per una progettazione “green” a 360°, si dovrebbe tener conto di tutto il ciclo di vita del prodotto o sistema in oggetto. La progettazione sostenibile è infatti un campo multidisciplinare che coinvolge designer, ingegneri e altri professionisti per sviluppare soluzioni che siano ecologicamente responsabili, socialmente equilibrate ed economicamente vantaggiose. È un approccio fondamentale per affrontare le sfide ambientali e sociali del nostro tempo e per contribuire a un mondo più sostenibile e resiliente. Negli ultimi anni, anche cavalcando l’onda dell’economia circolare, si promuovono e vengono insegnati in corsi e università metodi, approcci e strumenti di progettazione in cui i prodotti e i materiali possano essere riparati, riutilizzati o riciclati invece di essere gettati via dopo l’uso.

“Cradle to Cradle: Reinventare il Modo in cui Facciamo le Cose”

Un’esempio su tutti è il “Cradle to Cradle”, un concetto e un quadro di progettazione sviluppato dall’architetto William McDonough e dal chimico Michael Braungart, delineato nel loro libro del 2002 “Cradle to Cradle: Reinventare il Modo in cui Facciamo le Cose”. Questo quadro promuove un approccio sostenibile al design, alla produzione e alla gestione dei rifiuti, reimmaginando i prodotti e i sistemi come parte di un sistema chiuso e rigenerativo. Si riporta, a titolo d’esempio, il primo principio di questo approccio, basato sull’affermazione “rifiuto uguale a cibo”. Nella natura non esiste il rifiuto; ogni prodotto di scarto di un organismo serve come nutriente per un altro. Allo stesso modo, nel design Cradle to Cradle, i prodotti e i materiali sono progettati per essere riutilizzati, riciclati o restituiti in modo sicuro all’ambiente senza danneggiarlo. Questo approccio sfida il tradizionale modello lineare “dalla culla alla tomba” di produzione e smaltimento, in cui i prodotti vengono fabbricati, utilizzati e poi gettati come rifiuti. Invece, promuove un’economia circolare e sostenibile in cui i prodotti sono progettati per ciclare continuamente attraverso il sistema, sia come nutrienti biologici che ritornano in modo sicuro all’ambiente o come “nutrienti tecnici” che vengono riciclati perpetuamente. Il Cradle to Cradle ha influenzato diverse industrie, tra cui l’architettura, il design di prodotti e la produzione, promuovendo pratiche ecologiche e sostenibili che privilegiano l’efficienza delle risorse, la salute ambientale e il benessere umano. Ha anche portato allo sviluppo di programmi di certificazione per i prodotti che soddisfano i suoi criteri.

Dalla Teoria alla pratica: Life Cycle Assessment e Computer-Aided Design

Mentre i principi ideali dell’economia circolare e del Cradle to Cradle sono inflessibili, molte applicazioni nella vita reale delle idee e delle definizioni proposti da questi approcci devono, per forza di cose, scendere a compromessi. Diversi articoli scientifici, ad esempio [5], analizzano diverse interpretazioni dell’economia circolare, evidenziando alcune limitazioni sia nell’uso del termine che nella sua applicabilità pratica. Per i prodotti con un elevato consumo energetico durante l’uso, l’applicazione dei principi del Cradle to Cradle non garantiscono miglioramenti ambientali, poiché non si tiene conto dell’impatto ambientale completo del prodotto. Altre ricerche riflettono invece sul fatto che alcune aziende che si impegnano nell’economia circolare pensano prima al risparmio economico, con qualità ambientale e, in alcuni casi, uguaglianza sociale che seguono solo come un pensiero secondario. Questo è un punto fondamentale, tanto che la fondazione Ellen MacArthur descrive l’economia circolare come un “nuovo motore di crescita”: se non potrà venir realizzato un vantaggio economico, gli aspetti ambientali e sociali dell’economia circolare potrebbero semplicemente essere “abbandonati”. A supporto dei progettisti, sono state però sviluppate teorie e strumenti, molto concreti ed applicabili da subito, per integrare i concetti di sostenibilità nel loro lavoro quotidiano.

Uno degli strumenti più riconosciuti per la valutazione dell’impatto ambientale di un prodotto, processo o servizio è l’analisi del ciclo di vita (Life Cycle Assessment – LCA) lungo l’intero ciclo di vita, dalla produzione all’uso, alla fine della vita. Questo strumento aiuta a identificare le fasi del ciclo di vita che hanno il maggior impatto ambientale e a prendere decisioni basate su dati concreti. Ad esempio, nel caso di un manufatto, gli impatti ambientali sono valutati dall’estrazione e lavorazione della materia prima, la sua fabbricazione, la distribuzione e l’uso del prodotto, fino al riciclo o allo smaltimento finale dei materiali che lo compongono. Una procedura riconosciuta per condurre una LCA è descritta nella serie di normative ISO 14000 ed, in particolare, la ISO 14040:2006 e la ISO 14044:2006. La procedura per effettuare tale valutazione può essere complicata e onerosa: strumenti software di progettazione assistita da computer (Computer-Aided Design – CAD) consentono ai progettisti di creare modelli digitali di prodotti e di eseguire simulazioni per ottimizzare l’efficienza energetica e altre considerazioni di progettazione sostenibile. Non solo, in mancanza di dati per effettuare la valutazione, esistono anche banche dati di materiali sostenibili, che forniscono informazioni su materiali ecologici e sostenibili, consentendo ai progettisti di fare scelte informate riguardo ai materiali da utilizzare nei loro progetti.

Il ruolo dei consumatori

Se, da un lato, ingegneri e progettisti possono essere educati e formati ai i principi di progettazione sostenibile e all’utilizzo di strumenti software che facilitano il passaggio da una progettazione “tradizionale” ad una più “green”, il ruolo dei consumatori è assolutamente essenziale. In effetti, il greenwashing può funzionare solo se i consumatori lo permettono. Spesso, i clienti desiderano sostenere aziende che agiscono in modo responsabile, ma possono essere ingannati da dichiarazioni superficiali e immagini suggestive. Oltre alla divulgazione, metodo molto efficace con cui esponenti emeriti di un certo ambito possono sensibilizzare l’opinione pubblica, leggere attentamente le etichette dei prodotti per comprendere meglio gli ingredienti e il loro impatto ambientale è sicuramente un’azione utile che i consumatori possono attuare per non essere ingannati da un’eventuale semantica ambigua. Perché il metodo risulti efficace, è necessaria un’azione decisa da parte degli enti regolatori che, oltre ad avere il compito di verificare l’accuratezza delle informazioni riportate, dovrebbero anche mettere in condizione i consumatori di capire immediatamente quanto un prodotto è stato concepito, realizzato e distribuito seguendo i principi di sostenibilità.

Leggi e regolamenti

Le leggi e i regolamenti sono infatti essenziali per combattere il greenwashing. Le autorità di regolamentazione devono imporre sanzioni severe contro le aziende che effettuano affermazioni false o fuorvianti sulle pratiche ambientali. In molti paesi, esistono organi di controllo e leggi che cercano di combattere il greenwashing, ma il problema richiede una continua sorveglianza e rafforzamento delle normative. Esistono numerosi programmi di certificazione, come LEED per gli edifici, ENERGY STAR per l’efficienza energetica, e certificazioni per prodotti sostenibili, che forniscono linee guida e standard per la progettazione sostenibile e l’ottenimento di riconoscimenti ufficiali.

Il greenwashing è un problema serio e diffuso che richiede l’attenzione sia dei consumatori che delle autorità regolamentari. La lotta contro questa pratica richiede una maggiore trasparenza aziendale, un’educazione continua dei consumatori e l’applicazione rigorosa delle leggi esistenti. Solo attraverso uno sforzo congiunto sarà possibile ridurre l’impatto negativo del greenwashing e promuovere un autentico impegno per la sostenibilità.