Da esclusiva ad inclusiva: la progettazione cambia punto di vista

Lanciare sul mercato un prodotto esclusivo è generalmente percepito in modo positivo dalla società contemporanea. Anche in ambito progettuale è prassi comune definire nelle fasi preliminari di progetto una popolazione target ristretta e quindi requisiti altamente specifici. Tale approccio non garantisce l’accessibilità al prodotto alla parte di popolazione esclusa dal set iniziale. Il rischio di esclusione viene amplificato dalle caratteristiche della società, la quale presenta un’elevata eterogeneità – per cultura, età, abilità, condizioni fisiche e cognitive. In questo scenario, un design orientato esclusivamente all’utente medio rischia di escludere una porzione troppo ampia della popolazione. La progettazione inclusiva diventa quindi non solo una scelta etica, ma anche una strategia commerciale lungimirante.

di Gabriele Pietroni

Lanciare sul mercato un prodotto esclusivo è generalmente percepito in modo positivo dalla società contemporanea: l’aggettivo esclusivo risulta accattivante ed evoca unicità ed originalità. Tuttavia, si potrebbe analogamente parlare di prodotto che esclude, ma l’effetto sarebbe certamente opposto. Nonostante le due espressioni siano linguisticamente equivalenti, solo la seconda restituisce il significato aderente all’etimologia della parola: chiudere fuori, dal verbo latino excludere.

Anche in ambito progettuale è prassi comune definire nelle fasi preliminari di progetto una popolazione target ristretta e quindi requisiti altamente specifici. L’imposizione di vincoli stringenti veicola le successive fasi di sviluppo prodotto – Conceptual Design ed Embodiment Design – facilitando la convergenza verso la fase di Detail Design, passaggio che precede la messa in produzione del prodotto.

Prospettive future sulla progettazione inclusiva

Tale approccio non garantisce l’accessibilità al prodotto alla parte di popolazione esclusa dal set iniziale. Il rischio di esclusione viene amplificato dalle caratteristiche della società, la quale presenta un’elevata eterogeneità – per cultura, età, abilità, condizioni fisiche e cognitive. Questa eterogeneità è destinata ad aumentare drasticamente a causa di un fenomeno strutturale: l’invecchiamento demografico. Attualmente, l’aspettativa di vita media mondiale è di circa 73 anni, con una crescita prevista di circa 5 anni entro il 2050 [1]. L’invecchiamento comporta una progressiva riduzione delle capacità motorie e cognitive, oltre ad un aumento della probabilità di sviluppare disabilità. Nell’Unione Europea, nel 2023, l’8.3% della popolazione tra i 16 e i 24 anni presenta forme di disabilità, percentuale che sale al 42% tra i 65 e i 74 anni e arriva al 74% oltre gli 85 anni [2].

L’invecchiamento è un esempio emblematico di due caratteristiche fondamentali della disabilità: l’evoluzione nel tempo e la varietà delle forme che può assumere. Alcune invalidità sono temporanee e tendono a migliorare, come nel caso di infortuni; altre, invece, si aggravano progressivamente con l’avanzare dell’età. L’invecchiamento introduce una crescente complessità, dando origine a situazioni ibride, in cui si combinano deficit lievi ma multipli, sia fisici che cognitivi. In questo scenario, un design orientato esclusivamente all’utente medio rischia di escludere una porzione sempre più ampia della popolazione. Progettare in modo inclusivo diventa quindi non solo una scelta etica, ma anche una strategia commerciale lungimirante, capace di migliorare l’usabilità, prevenire incidenti legati ad un uso improprio ed ampliare la base di utenti potenziali.

Progettazione esclusiva vs inclusiva

Il processo di progettazione si articola in tre fasi: la definizione del problema, lo sviluppo di una soluzione ed infine la valutazione della soluzione proposta. Le caratteristiche della popolazione target selezionata influenzano profondamente ciascuna di queste fasi. Al termine del processo, sarà necessario garantire che il prodotto risultante sia almeno accessibile ed usabile dall’utente tipo identificato.

Per accessibilità si intende la possibilità, per un individuo, di utilizzare un prodotto e di interpretarne correttamente eventuali segnali di output – fisici, sonori o visivi. L’usabilità, invece, riguarda la facilità con cui un utente riesce a comprendere e utilizzare il prodotto. A questi due attributi fondamentali se ne affianca un terzo, non trascurabile: l’estetica, spesso determinante nell’accettazione e nell’adozione del prodotto da parte dell’utente.

Alcune metodologie progettuali prevedono la selezione di utenti con capacità limitate, ponendosi l’obiettivo di sviluppare soluzioni specifiche che garantiscano accessibilità ed usabilità in contesti ben circoscritti. È il caso del rehabilitation design, che si concentra su specifiche invalidità, o del design for story-telling, orientato sugli effetti dell’invecchiamento. Questi approcci vengono anche detti Design for Disable, poiché pongono enfasi sulle invalidità e le limitazioni che ne conseguono, rispondendo a bisogni specifici. Pur riuscendo a rispondere efficacemente a bisogni specifici e a migliorare la qualità della vita di gruppi minoritari, questi prodotti finiscono spesso per etichettare gli utenti a cui sono destinati, contribuendo involontariamente a rafforzare lo stigma sociale associato alla condizione di disabilità.

Il Design for All o Universal Design

A superamento degli approcci esclusivi, il Design for All (DFAll) o lo Universal Design (UD) si propongono l’ambizioso obiettivo di progettare prodotti, servizi ed ambienti fruibili idealmente da tutti, senza necessità di adattamenti o modifiche successive. Alla base di queste metodologie sta l’idea di una progettazione proattiva invece che adattiva. L’obiettivo non è più adattarsi all’utente medio, ma abbracciare l’eterogeneità degli utenti come condizione progettuale di partenza, considerando come popolazione target la più ampia possibile.

I principi cardine

Il DFAll e lo UD si basano su 7 principi cardine definiti nel 1997 e formulati per guidare la progettazione:

  1. Uso equo (Equitable Use) – Il design è utile e commerciabile per persone con abilità diverse.
  2. Flessibilità d’uso (Flexibility in Use) – Il progetto si adatta a un’ampia gamma di preferenze e abilità individuali.
  3. Uso semplice e intuitivo (Simple and Intuitive Use) – Il prodotto è facile da capire, indipendentemente dall’esperienza, dalle conoscenze o dalle capacità cognitive dell’utente.
  4. Informazione percepibile (Perceptible Information) – Il design comunica in modo efficace le informazioni necessarie, indipendentemente dalle condizioni ambientali o dalle capacità sensoriali degli utenti.
  5. Tolleranza all’errore (Tolerance for Error) – Il progetto minimizza i rischi e le conseguenze negative di azioni accidentali o non intenzionali.
  6. Basso sforzo fisico (Low Physical Effort) – Il prodotto può essere utilizzato in modo efficiente e confortevole, con il minimo affaticamento.
  7. Misure e spazi adeguati (Size and Space for Approach and Use) – Il progetto prevede spazi e proporzioni adatte per l’accesso e l’uso, indipendentemente dalla corporatura, dalla postura o dalla mobilità dell’utente.

Questi principi non sono soltanto indicazioni teoriche, ma hanno fornito le fondamenta a normative internazionali, europee e nazionali che guidano progettisti e aziende nella realizzazione di prodotti e ambienti più accessibili. Tra queste, lo standard europeo “EN 17161:2020 Design for All – Accessibility following a Design for All approach in products, goods and services – Extending the range of users’ promuove l’adozione di un approccio Design for All nella progettazione di prodotti, beni e servizi destinati al mercato generale.

Approcci progettuali per la progettazione inclusiva

La prima fase della progettazione riguarda la definizione del problema, un passaggio fondamentale che richiede di individuare la popolazione target e comprenderne le caratteristiche specifiche. Un modello particolarmente utile per visualizzare la distribuzione delle capacità nella popolazione è lo user pyramid design approach. Secondo questo approccio, la popolazione può essere rappresentata su tre livelli di una piramide: alla base si trovano gli utenti pienamente abili, nel livello intermedio coloro che presentano limitazioni lievi, ad esempio ridotta forza o mobilità, e al vertice gli utenti con disabilità gravi o complesse. Progettare per gli utenti che occupano il vertice della piramide – quindi quelli con maggiori limitazioni – consente di creare soluzioni che risultano accessibili anche ai gruppi sottostanti, con esigenze meno stringenti [3].

Un approccio affine, proposto da Pullin e Newell [4], è quello che introduce la figura dell’utente “extra-ordinary”, cioè persone che presentano combinazioni di disabilità, spesso legate all’invecchiamento, quindi con esigenze particolarmente complesse. Il principio guida è che un prodotto progettato per soddisfare questi “utenti estremi” debba poi essere valutato anche da parte di utenti giovani e senza disabilità, solo al termine del ciclo progettuale, per garantirne l’accettabilità universale. In altre parole, progettare per l’estremo garantisce inclusione per tutti.

L’efficacia di questi approcci può essere riscontrata nei numerosi casi – spesso non pianificati – di prodotti inizialmente pensati per nicchie di utenti con esigenze specifiche e solo successivamente diventati standard industriali o successi commerciali trasversali. In molti casi, ciò non era previsto strategicamente, ma è avvenuto grazie alla maggiore semplicità d’uso rispetto alle alternative tradizionali. Un esempio emblematico è il registratore a cassette, concepito inizialmente come audiolibro per utenti non vedenti, ha conquistato il mercato per la sua accessibilità e praticità [4].

L’Inclusive Design Cube

Un ulteriore sviluppo metodologico è rappresentato dall’Inclusive Design Cube (IDC) [3] , un modello tridimensionale in cui ogni asse rappresenta una dimensione di capacità dell’utente: cognitiva, motoria e sensoriale. Il volume occupato all’interno del cubo identifica la porzione di popolazione che una determinata soluzione progettuale riesce a soddisfare, permettendo così una valutazione visiva e immediata sia del grado di inclusività sia delle caratteristiche degli utenti esclusi dalla soluzione proposta. Inoltre, l’IDC mostra diversi livelli di risposta progettuale possibili, in base alle capacità degli utenti.

Prodotti pensati per la popolazione più ampia possibile, utilizzando principi di universalità (user-aware design) coprono il volume maggiore del cubo. Tuttavia, queste soluzioni potrebbero non essere accessibili da utenti con invalidità severe, per i quali può essere necessario una soluzione progettuale su misura (Special-purpose design). Tra questi due approcci si inserisce una possibilità intermedia che si focalizza sulla modularità e la personalizzazione del prodotto per rispondere alle diverse capacità degli utenti intermedi (Customizable/modular design). L’impostazione dell’IDC aiuta a ragionare non più in termini dicotomici inclusivo-esclusivo, ma in maniera sfumata, valutando fino a che punto una soluzione risponde ai bisogni della popolazione reale.

Conclusioni

La progettazione inclusiva rappresenta un cambiamento di paradigma che sposta il focus dalla realizzazione di soluzioni per pochi, all’ambizione di creare prodotti, servizi e ambienti accessibili e utilizzabili da tutti. Questo approccio non solo risponde a esigenze etiche e sociali, ma si configura anche come una strategia progettuale lungimirante che consente alle aziende di intercettare un mercato più ampio e diversificato, rispondendo con maggiore efficacia ai bisogni di una popolazione sempre più eterogenea per età, capacità, cultura e condizione.

Dunque, l’inclusività non è solo un fattore di responsabilità sociale, ma un vantaggio competitivo, capace di generare valore tangibile in termini di accessibilità, usabilità, reputazione del brand e fidelizzazione degli utenti. L’adozione di principi come quelli del Design for All o dello Universal Design, supportata da normative internazionali e standard di riferimento, permette alle imprese di anticipare la normativa futura, ridurre i costi legati alle personalizzazioni post-produzione e differenziarsi sul mercato con prodotti capaci di soddisfare un più ampio ventaglio di esigenze.

In definitiva, progettare in modo inclusivo significa progettare meglio: con maggiore attenzione, consapevolezza e apertura verso un futuro in cui la qualità del design sarà sempre più misurata dalla sua capacità di essere accessibile a tutti.

Design thinking

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