Brevetto Unico Europeo: una storia travagliata

Il sistema brevettuale e di protezione degli asset immateriali e, in particolare, delle tecnologie è destinato a cambiare radicalmente nel prossimo futuro, sia nelle strategie di protezione sia in quelle di difesa degli interessi considerati.

A cura di Michela Maggi, avvocato e dottore di ricerca in proprietà industriale: information@maggilegal.it

E’ di recente stato dato il via alla istituzione di un brevetto comunitario europeo unico che avrà vigenza contemporaneamente in molti Stati Membri europei ed inoltre ad un tribunale unitario per la difesa dei brevetti.

L’ultimo mese del 2012 e il primo mese dell’anno corrente sono stati appunto di fondamentale importanza per la creazione di questi due nuovi istituti e di conseguenza per l’entrata in vigore di un reale Brevetto Unico Europeo. In particolare, il 17 dicembre del 2012 sono stati firmati il regolamento n. 1257/2012 relativo all’attuazione di una Cooperazione Rafforzata nel settore dell’attuazione di una tutela brevettuale unitaria ed il regolamento n. 1260/2012 relativo al regime di traduzione applicabile. Il 19 febbraio 2013 è stato invece firmato (da 23 paesi membri, esclusi Spagna, Polonia e Romania) l’Accordo per l’istituzione di una Corte Unitaria dei Brevetti che sarà competente per le controversie relative al citato brevetto unitario. I due regolamenti saranno applicabili a partire dal 1 gennaio 2014 o a seguito dell’entrata in vigore dell’accordo (internazionale) relativo alla costituzione dell’organo di risoluzione delle controversie brevettuali il quale a sua volta dovrebbe entrare in vigore a partire dal primo gennaio del 2014 oppure dalla avvenuta ratifica da parte di almeno tredici Paesi Membri dell’Unione Europea.

L’inizio della storia

L’adozione dei due regolamenti e dell’accordo internazionale rappresenta un importante passo avanti per la creazione e realizzazione del brevetto unitario, dato che quest’ultimo attende la sua realizzazione dal lontano 1975 quando alcuni Paesi sottoscrissero la Convenzione di Lussemburgo che tuttavia non entrò mai in vigore, per mancanza di un numero sufficiente di ratifiche da parte dei Paesi interessati, seguita poi dalla convenzione sul brevetto europeo di Monaco del ‘79.

Il brevetto comunitario unico ha infatti avuto un percorso piuttosto travagliato, percorso che ancora lascia alcuni punti scoperti, specie per quanto riguarda alcuni Paesi come l’Italia e la Spagna.

Due sono stati anzitutto i motivi del fallimento della citata Convenzione di Lussemburgo, motivi che, quantomeno in parte, molti considerano ancora come un ostacolo alla piena e futura vigenza del brevetto unitario e della sua accettazione da parte di tutti gli operatori del settore:

  • i costi eccessivi per l’ottenimento di tale brevetto unitario, visto che era prevista come  necessaria la traduzione del brevetto in tutte le lingue degli Stati UE;
  • la diffidenza di alcuni Stati firmatari nei confronti del potere che la Convenzione conferiva ai tribunali nazionali degli Stati Membri aderenti di decidere sulla eventuale nullità del brevetto unitario in questione in procedimenti di contraffazione aventi efficacia in tutto il territorio degli Stati firmatari.

Vero è che dagli anni Settanta ad oggi sono stati compiuti innumerevoli tentativi in diverse sedi per istituire, accanto al brevetto europeo introdotto a suo tempo con la Convenzione di Monaco nel 1979, un brevetto comunitario unico che – rispetto a quest’ultimo – avesse un carattere unitario ed autonomo.

Un sistema centralizzato per il rilascio di brevetti

C’è infatti da sottolineare che la Convenzione sul Brevetto Europeo o Convenzione di Monaco che ha appunto istituito il brevetto europeo è già in vigore da molti anni, ma non ha introdotto una vera tipologia di brevetto unitario, ma ha semplicemente creato un sistema centralizzato per il rilascio di brevetti. Una volta rilasciato dall’Ufficio Brevetti Europeo (UBE), infatti, il brevetto europeo non costituisce un titolo unitario (come sarebbe il brevetto comunitario unitario in fase di istituzione) ma si dissolve in un fascio di brevetti nazionali la cui disciplina sostanziale viene regolata dalle legge dei vari Paesi Membri per cui è stata richiesta la protezione e sono state perfezionate le relative pratiche amministrative: infatti per avere effetto il brevetto europeo una volta rilasciato deve essere convalidato, ovvero tradotto nelle rispettive lingue dei singoli Stati membri per cui è stata richiesta la tutela, aspetto che incide ulteriormente sui costi relativi al rilascio di un brevetto europeo.

La disciplina sostanziale del diritto brevettuale e la tutela giurisdizionale del brevetto europeo rimangono quindi di competenza dei singoli Stati contraenti. Questa impostazione ha da sempre comportato che le azioni di nullità e di contraffazione dei relativi brevetti debbano essere presentate e portate avanti separatamente in ogni Stato contraente in cui si vogliono far valere: ciò in quanto le decisioni dei tribunali nazionali hanno efficacia in linea di principio solo sulla porzione nazionale del brevetto europeo. Il problema del brevetto europeo quindi è che in realtà dare l’avvio ad azioni di nullità e di contraffazione di brevetti in giurisdizioni diverse non aumenta solo i costi ma anche il rischio di interpretazioni divergenti della medesima controversia.

Nonostante questi svantaggi derivanti dal mancato effetto unitario del brevetto europeo e (dalla mancata istituzione di una giurisdizione unitaria) finora esso ha rappresentato (e tutto rappresenta) comunque un traguardo importante per la protezione delle invenzioni nei paesi aderenti alla Convenzione di Monaco. Molteplici sono infatti i vantaggi che sono derivati dalla istituzione di un brevetto europeo:

  • abbattimento dei costi della procedura di applicazione;
  • introduzione dell’esame preliminare dell’invenzione anche per Paesi che fino ad allora ne erano privi per motivi organizzativi ed economici;
  • costituzione di un database centralizzato nel quale raccogliere e classificare tutte le domande brevettuali al fine della formazione dello stato della prior art;
  • flessibilità per i richiedenti in quanto possono indicare i Paesi nei quali desiderano ottenere la tutela in base alle loro strategie commerciali.

L’Ufficio Brevetti Europeo

La Convenzione sul brevetto Europeo di Monaco istitutiva, come si ripete, del brevetto europeo, ha anche avvicinato gli ordinamenti nazionali prevedendone l’armonizzazione su alcuni punti fondamentali, come l’oggetto della tutela brevettuale (patentable subject matter), i requisiti di brevettabilità (novità e originalità) e l’individuazione dei soggetti aventi diritto al brevetto. Su questi punti cruciali della materia brevettuale l’Ufficio Europeo Brevetti esercita un controllo diretto in sede d’esame e in eventuali procedimenti di opposizione. Le decisioni adottate delle camere di ricorso dell’Ufficio Europeo Brevetti influiscono quindi (in modo indiretto ed in qualche misura) anche sull’applicazione del diritto nazionale in quanto le corti nazionali talvolta si orientano in base alle decisioni di quest’ultimo.

Nel corso degli anni si è fatta però sempre più insistente la voce da parte di chi richiedeva che accanto al citato brevetto europeo venisse concessa la possibilità agli operatori comunitari (e non) di optare per un brevetto che conferisse tutela all’invenzione in tutto il territorio comunitario. Lo scopo era ed è la creazione di un sistema brevettuale che non governasse solo la cosiddetta fase prima della concessione ma anche quella ad essa successiva.

Fin da subito, è però risultato chiaro che questo scopo poteva essere raggiunto solo se accanto alla disciplina sostanziale del brevetto fossero stati risolti altri due punti cruciali:

  • l’istituzione di una giurisdizione unitaria alla quale sottoporre le questioni giuridiche sorgenti successivamente alla concessione di un brevetto unitario, per vincere la diffidenza di alcuni stati membri nei confronti delle giurisdizioni poco specializzate di altri paesi membri;
  • un regime linguistico semplificato che evitasse la traduzione dei brevetti in tutte le lingue dei paesi membri.

L’intervento della Commissione Europea

La maggiore promotrice di tale progetto è stata la Commissione Europea, la quale nel 2000 ha presentato una proposta di regolamento appunto per la creazione del brevetto comunitario, anche al fine dichiarato di aumentare e stimolare la competitività delle imprese comunitarie.¹ La proposta di regolamento prevedeva l’adesione dell’Unione Europea alla Convenzione di Monaco e la designazione della stessa Unione come territorio per il quale poteva essere concesso un brevetto europeo. Il procedimento da seguire per la concessione di un brevetto comunitario era quindi pensato alla stregua di quello già previsto ed esistente per il brevetto europeo. La fase successiva alla concessione del brevetto avrebbe però consentito di costituire un titolo unitario ed autonomo, appunto il brevetto comunitario, che non si sarebbe risolto in un fascio di brevetti nazionali.

Il carattere unitario avrebbe assicurato che il brevetto comunitario producesse gli stessi effetti in tutti i Paesi Membri dell’Unione e potesse quindi essere concesso, trasferito, dichiarato nullo unicamente per l’Unione Europea considerata globalmente. L’autonomia (rispetto agli ordinamenti nazionali) veniva invece garantita dalle disposizioni di diritto sostanziale previste dal regolamento per la fase successiva alla concessione.² La proposta di regolamento conteneva anche soluzioni originali per una tutela giurisdizionale unitaria  e per abbattere i costi delle traduzioni dei brevetti nelle diverse lingue degli Stati Membri e prevedeva una tutela giurisdizionale affidata ad organi giudiziali comunitari, centralizzati e specializzati in materia brevettuale. Questo “Tribunale comunitario della proprietà immateriale” avrebbe dovuto essere composto da sezioni di primo grado e d’appello ed avere competenza su tutto il territorio dell’Unione per questioni riguardanti la validità e la contraffazione del brevetto comunitario. Per porre rimedio al problema delle lingue il regolamento proponeva un regime di traduzione semplificato in base al quale il brevetto comunitario, una volta concesso in una delle lingue ufficiali dell’Ufficio Brevetti Europeo (inglese, francese o tedesco) e pubblicato in tale lingua, unitamente ad una traduzione delle rivendicazioni nelle altre due lingue ufficiali, sarebbe stato valido senza bisogno di ulteriori traduzioni.

La proposta di regolamento appena esposta è stata oggetto di discussione in diverse sessioni del Consiglio Europeo, nelle quali però non è stato raggiunto un accordo fra i vari Stati Membri sulla questione delle traduzioni. Nonostante i diversi compromessi avanzati dal Consiglio, la proposta non ha ottenuto il consenso unanime necessario per l’adozione del regolamento. La mancata adozione della proposta di regolamento non ha però arrestato l’impegno della Commissione Europea nella creazione del brevetto comunitario.

Nel 2006, la Commissione ha avviato una consultazione sulla futura politica europea dei brevetti con l’obiettivo di raccogliere pareri delle parti interessate sul sistema brevettuale in Europa e sugli eventuali cambiamenti necessari. Dalla consultazione, che ha registrato un’ampia partecipazione, è emersa l’insoddisfazione degli interessati con l’impostazione prima vigente e il sostegno di un intervento volto alla creazione di un brevetto comunitario unico, economicamente accessibile e competitivo. Basandosi sul quadro fornito dalla consultazione, la Commissione ha inviato una Comunicazione al Parlamento Europeo e al Consiglio con lo scopo di riaprire il dibattito sul brevetto unitario.

Le questioni controverse della giurisdizione unitaria e del regime linguistico

I punti maggiormente controversi da affrontare riguardavano la giurisdizione unitaria e il regime linguistico.

Per quanto riguarda la giurisdizione unitaria, la Commissione ha chiesto autorizzazione al Consiglio per avviare i negoziati in vista dell’adozione di un accordo relativo alla creazione di un sistema unico di risoluzione delle controversie in materia di brevetti.  La “Corte unificata” prevista dal draft sarebbe stata competente per le azioni di nullità e per le azioni di contraffazione dei relativi brevetti. Si trattava quindi di un accordo di natura internazionale che presupponeva la partecipazione della Comunità, dei singoli Stati membri e degli altri Stati aderenti alla Convenzione del Brevetto Europeo.

Nel giugno 2009 il Consiglio ha chiesto alla Corte di giustizia dell’Unione europea di esaminare la compatibilità del progetto di accordo alla luce dei trattati dell’UE. A seguito del parere negativo della Corte di Giustizia (marzo 2011) che ha rilevato l’incompatibilità con il diritto comunitario del sistema giurisdizionale sul brevetto UE è stata presentata una nuova proposta di accordo internazionale la quale è stata firmata da 24 Stati Membri (fra cui anche l’Italia) il 19 febbraio 2013, l’accordo internazionale per la creazione del Tribunale unificato dei brevetti.

Il Trattato di Lisbona del 2009

Un passo decisivo è poi avvenuto con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona del 2009 che conferisce una nuova base giuridica alla creazione di titoli europei per la protezione dei diritti di proprietà intellettuale. L’art 118 prevede infatti che per l’adozione di misure in materia di proprietà intellettuale è sufficiente l’ordinaria procedura di co-decisione. Solo per i regimi linguistici permane la delibera all’unanimità del Consiglio. I diversi procedimenti legislativi da seguire fanno sì che il regime di traduzione e la regolamentazione riguardante la tutela del Brevetto Comunitario, previsti congiuntamente nella proposta della Commissione del 2000, devono essere trattati separatamente.

La proposta di Regolamento del 2010

Nel giugno del 2010, la Commissione ha adottato una nuova proposta di regolamento del Consiglio sul regime di traduzione del brevetto dell’Unione europea. La proposta contiene diverse soluzioni basate tutte però su un regime trilingue (inglese, tedesco, francese) a cui però si sono opposti, nel Consiglio di Competitività, l’Italia e la Spagna impedendo in tal modo il raggiungimento dell’unanimità. Per superare lo stallo creatosi alcuni Paesi Membri hanno chiesto, ottenendola, l’autorizzazione a procedere con una cooperazione rafforzata nel settore dell’istituzione di una tutela brevettuale unitaria. L’Italia e la Spagna hanno invece proposto un ricorso alla Corte di Giustizia Europa contro l’utilizzo del procedimento di cooperazione rafforzata. Mentre il giudizio sulla legittimità della cooperazione rafforzata è tuttora pendente sono stati approvati, il 17 dicembre 2012 sono stati approvati i due regolamenti sul brevetto comunitario (in regime di cooperazione rafforzata) di cui si è detto all’inizio.

Qualora la legittimità di tale modus procedendi venisse confermato dalla Corte di Giustizia, allora i regolamenti sul brevetto unitario e sul regime linguistico ad esso applicabile avrebbero effetto solo tra i Paesi aderenti alla cooperazione rafforzata, con la possibilità degli Stati che ne sono “rimasti fuori” di aderirvi successivamente.  In caso contrario, ovvero se la Corte di Giustizia si pronunciasse contro la legittimità della cooperazione rafforzata allora i regolamenti di cui si è detto dovrebbero essere considerati contrastanti con il Trattato CEE e pertanto privi di efficacia. Vedremo quindi quale sarà l’ulteriore prosieguo di questo travagliato brevetto e, in uno dei prossimi numeri, ospiteremo anche le opinioni pro e contro di alcuni operatori del settore sul brevetto unitario.