L’idea alla base del progetto era affrontare il problema della manutenzione negli impanti PVD (Physical Vapour Deposition), impiegati per ricoprire dei substrati con film “sottili”, ovvero con spessori compresi fra pochi nm e decine di mm, all’interno di camere da vuoto. Si era infatti osservato come le tecniche PVD fossero afflitte da bassa efficienza ed elevati scarti di produzione (60-80% delle materie prime immesse nel processo non si deposita sul prodotto da rivestire, ma su superfici dalle quali il film dev’essere poi rimosso); manutenzione lunga, inefficiente e rischiosa per gli operatori. Questo perché i materiali che hanno “sporcato” le superfici interne della camera – durante il normale funzionamento – vengono rimossi con tecniche abrasive (che generano polveri pericolose se inalate), e la miscela così ottenuta va separata attraverso processi idro- e piro-metallurgici inquinanti e complessi.
Si è allora concluso che la soluzione dovesse prevedere l’adozione di uno “schermo” (prodotto) che permettesse contemporaneamente:
la protezione delle superfici interne della camera, supposta pre-esistente allo schermo,
anche attraverso un’agevole rimozione degli strati di films man mano depositatisi sullo schermo stesso,
la separazione e la selezione dei diversi materiali utilizzati durante i processi di deposizione.
Si è dunque progettato un sistema elettromeccanico (lo “schermo dinamico”), secondo un’architettura modulare (fig. 1a), in grado di retrofittare quanto più possibile le diverse camere di deposizione in commercio (fig. 1b). Tale sistema viene ad essere installato all’interno della camera dell’impianto di deposizione prima dell’utilizzo dello stesso, precisamente tra il “crogiolo” (che emette le particelle neutre che andranno a “condensare” formando il film) e le pareti (fig. 1c).
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