Additive manufacturing, la tecnologia più disruptive

additive manufacturing

Da una chiacchierata con Marco Zani, CEO e Fondatore di Mark One, sono nate importanti riflessioni su un mercato che ben conosciamo e che dimostra di essere in costante e continua evoluzione: l’additive manufacturing.

di Pietro Beimer, Client & Ecosystem @ GELLIFY

È ormai innegabile che il connubio produzione in scala-linea produttiva sia ben radicato nelle nostre prospettive riguardo la manifattura. Sembrerebbe quasi che il metodo fordista non sia scalfibile dall’immaginario collettivo. Pure l’imprenditore più visionario quando si deve immaginare un sito di produzione difficilmente vede qualcosa di diverso da macchinari e operai in azione. La lungimiranza e la capacità di guardare oltre però non devono sempre tramutarsi nell’iniziativa del singolo, ma possono consistere in una spinta esterna, quando una tecnologia rivoluzionaria è capace di rinvertire lo stereotipo. L’idea di produrre in scala sfruttando tecnologie avveniristiche come la stampa 3D potrebbe ricordare in molti questo tipo di movimento. L’additive manufacturing (AM), che racchiude al suo interno la menzionata stampa 3D, si propone di permettere uno step in termini di malleabilità, versatilità e adattabilità della prototipazione e/o produzione nel settore manufatturiero. Per questa capacità anticipatoria e foriera di competitività della filiera produttiva, vale sicuramente la pena esplorare le caratteristiche di questo nuovo mondo.

Un necessario cambio di passo

“Ci siamo accorti che il mondo sta cambiando, e le richieste aziendali stanno cambiando di pari passo”. Così Marco Zani, CEO e Fondatore di Mark One, impresa pioniere in materia di Stampa 3D per applicazioni industriali. Tali cambiamenti non riguardano solo una crescente instabilità o la trasformazione digitale impellente. Essi vengono da nuovi modelli di creazione di valore, che richiamano ad una crescente necessità di personalizzazione del prodotto finale proveniente da ogni tipo di cliente. Infatti, lo stesso Zani non sdegna l’affermare che in questo contesto storico, nell’ambito manufacturing, il paradigma sta passando dalla “Mass production” alla “Mass customization”. E come si inserisce l’additive manufacturing in tutto ciò?

Definibile come “l’insieme di tecnologie di produzione e processi di trasformazione volti all’ottenimento del volume e della geometria di un componente 3D modellato su CAD tramite la progressiva aggiunta di materiale”, l’additive manufacturing va separato concettualmente dal subtractive manufacturing. Il secondo è infatti il ben più tradizionale processo di rimozione di strati di materiale da un blocco già definito di varia natura (barre di metallo, plastica…) ad esempio con i classici metodi CNC (Computer Numerical Control), attraverso la rimozione effettuata sempre da modelli CAD o il taglio laser, per citarne alcuni.

Tale distinzione può apparire pressoché fuorviante in quanto le funzionalità in fondo potrebbero essere le stesse per il fine ultimo della lavorazione. Ma il vantaggio comparato che l’additive manufacturing porta attiene una versatilità senza precedenti coadiuvata da una tecnologia in continuo raffinamento in termini di software, materiali e hardware di progettazione. Senza menzionare l’aspetto della sostenibilità abilitato dall’AM in quanto si risparmia sugli scarti di lavorazione tipici delle tecnologie subtractive.

Incremento dell’offerta

Zani, a proposito, non nasconde il grande sforzo che Mark One porta avanti per il continuo raffinare della propria offerta. “Nel 2015, quando iniziammo a cercare i primi materiali, ve ne erano due sul mercato, limitando la capacità di soddisfare i bisogni delle imprese interessate a questa tecnologia”. In questo senso, sicuramente, la storia del mercato additive non ha aiutato. Si può testimoniarne l’espansione del mercato nel 2010, con la scadenza dei brevetti che coprivano le tecnologie FDM (Stampa a filamento fuso). Da quel momento l’hype intorno alla stampa 3D assicurava utilizzi quasi avveniristici, anche sull’onda di un forte movimento open-source trainato da appassionati amatori, alcuni dei quali in futuro diventeranno imprenditori di successo. Essi hanno contribuito con decisione allo sviluppo della tecnologia, portandola all’attenzione del pubblico generale e attirando conseguenzialmente investimenti e interesse dalle imprese. Purtroppo, la limitatezza delle tecnologie e materiali mescolati alla complessità e il know-how richiesto per utilizzarla nel tempo delusero le rosee aspettative, generando quasi un down trend tecnologico. La tendenza subì un’inversione nel momento in cui player di rilievo nella stampa tradizionale e altre grandi corporate si interessarono alla tecnologia sfruttando canali di distribuzione ben più capillari.

Prospettive di mercato e modello di business

Le prospettive di mercato infondo sono adeguatamente esplicative di quanto oggigiorno il periodo negativo sia passato. “Stime confermano che il mercato additive nel 2020 nel mondo si attesterà intorno ai 7 miliardi di euro, con la prospettiva di raggiungere i 20 miliardi di euro nel 2025”. Dati dell’”Osservatorio Additive Manufacturing” nel proprio report del 2021 confermano un crescente interesse verso la materia da parte di molti imprenditori. Inoltre, al contrario di quanto ci si possa aspettare, l’interesse verte sempre verso attività di prototipazione. Tuttavia, una parte considerevole di imprese intervistate nell’indagine dell’osservatorio, il 31%, sembrerebbe interessato anche ad attività di produzione, per ora in piccola scala, ma in futuro mirando all’espansione verso la scalabilità.

Gioco forza, però, tanto lavoro per l’espansione si effettua con nuove tecnologie, collaborazioni e un interesse spiccato verso la ricerca di nuove lavorazioni e/o materiali da aziende specializzate. Perciò, come affermato da Zani, l’attività di imprese come Mark One si fonda su un paradigma di continuo testing e lancio di nuovi materiali o raffinazione del modello software/hardware alla base delle proprie stampanti 3D. “L’innovazione nel nostro settore va vista come un’attività d’insieme. Quando ci si rapporta con il cliente, noi non ci fermiamo allo stato dell’arte. Dopo un processo iniziale di sviluppo di tecnologie per avere un valido portafoglio prodotti di base, abbiamo sfruttato ogni opportunità con i nostri clienti per migliorare la nostra offerta. Quando il cliente si rivolge a noi, infatti, lo fa attraverso progetti pilota e collaborazioni che vanno oltre una logica product-centered. Se il mercato segnala una necessità, noi accogliamo la sfida e ci confrontiamo con nuovi materiali, nuove tecnologie e nuovi prodotti. Tutto ciò in un processo iterativo che soddisfa il cliente e apre ogni giorno nuovi orizzonti”. Ogni singolo progetto che si inizia non si limita ad applicare una serie di prodotti standard, ma comporta attività di studio non solo su nuove tecnologie implementabili in funzione delle richieste del cliente, ma anche di approfondimenti su come tali soluzioni impatteranno sull’organizzazione e sulle competenze richieste.

In questo senso, la moltitudine di iniziative pionieristiche e settori impattati dalla scaleup sono esemplificativi di come nell’additive manufacturing il progetto pilota porta a validare modelli soprattutto per la successiva applicazione su amplia scala. “Non ci sentiamo di definire settori che potrebbero essere più o meno impattati da tale tecnologia, perché ogni settore può trovare immenso beneficio”. Se si dovesse indicare settori che in questo momento più vedono grande vantaggio in queste tecnologie sarebbero l’automazione industriale, automotive, l’aerospaziale e la robotica. Per quanto riguarda questi settori, l’AM per ora si radica in attività prevalentemente di prototipazione, sebbene i player del settore non manchino di catturare attenzione su come, per determinate produzioni, la scalabilità sia già fatto acquisito. Pensiamo alla stampa di pezzi ad alta precisione che, seppure in scala, possono richiedere un grado di precisione del macchinario di altissimo livello. Oppure, al di là della scalabilità, si tende a sottolineare come la disponibilità di stampa real-time di pezzi pronti all’uso sia un esempio di use-case della stampa 3D. In tale prospettiva, è di rilievo il caso del lavoro svolto dalla stessa MARK ONE con Kawasaki. La scaleup ha infatti introdotto per la prima volta al mondo una stampante 3D per la produzione real-time, dei componenti della moto, dentro ai box della Superbike. Utile notare come un progetto pilota poi abbia portato a una partnership consolidata con la casa giapponese, permettendo inoltre di approfondire tematiche rilevanti nell’applicazione della stampa quali la logistica, la revisione dei processi e una conferma del vantaggio nell’utilizzo dell’additive nella manifattura.

Tali conferme sono anche comprovate empiricamente da dati raccolti dalla scaleup di Marco Zani. “In certi casi, la riduzione del costo unitario di un pezzo stampato in 3D è mediamente intorno 65-85%. Ma, in questo periodo di supply chain interrotte e dissipate in tutto il mondo, quanto è più apprezzato è l’immediata disponibilità del pezzo. A tal riguardo, con clienti di grande dimensione abbiamo portato a una riduzione del tempo di acquisizione dei componenti ad addirittura 230 giorni. Per non parlare del vantaggio, comunque importante, di permettere un collaudo più veloce, prototipazione più efficace o addirittura attività di preproduzione del prodotto. Va ricordato inoltre, che non vendiamo solo una stampante, ma know-how sull’ottimizzazione dei processi, feedback e tanto altro”.

La tecnologia

Allargando la discussione a livello tecnico, è giusto denotare la moltitudine di soluzioni che l’AM fornisce ai suoi utilizzatori. Anzitutto, va fatta una premessa. Ogni applicazione non esclude anzi incentiva la complementarità di varie tecniche. Curiosamente il CEO di MARK ONE propone una visione molto ambiziosa, in cui capannoni industriali della stessa scale-up potranno avere una linea di stampanti 3D per fornire il proprio servizio alle imprese localizzate in quell’area geografica.

In tal senso, si possono classificare quattro macroaree di materiali: le tecnologie a filamenti plastici (FDM, tecnica di estrusione) con la creazione di componenti polimerici tramite la sovrapposizione del materiale con un macchinario in movimento; tecnologie a resina (SLA, tecnica prevalente nell’ambito della Fotopolimerizzazione), che partendo da vasche di liquido in cui si proietta un fascio di luce porta all’estrazione del componente per solidificazione del materiale; la tecnica della stampa per Sinterizzazione (SLS o SLM, area Powder Bed Fusion) che comprende anche l’utilizzo non solo di materiali polimerici ma anche di materiali metallici tramite il consolidamento di materiale a mezzo termico a partire da polveri; infine, la tecnica del Material Jetting (tra cui il Nanoparticle Jetting e il drop-on-demand) che non si discosta dalle tecniche a inchiostro delle stampanti tradizionali e agisce con un fotopolimero termoindurente rilasciato e poi solidificato tramite luce ultravioletta.

Dati dell’Osservatorio Additive Manufacturing mostrano come la quota più consistente di materiali che l’impresa manufatturiera dovrebbe convertire a stampa 3D attiene polimeri e metalli. Allo stato attuale per la maggiore si utilizza materiali polimerici e tecniche a filamento o sinterizzazione, sebbene molti intervistati che riferiscono interesse nell’AM vorrebbero integrare lavorazioni di materiali metallici. Infatti, gli stessi riferiscono che i propri prodotti potrebbero essere prevalentemente funzionali a tecniche FDM e Powder Bed Fusion, a segnalare un interesse verso tecnologie compatibili con materiali metallici e compositi. Senza ignorare la tendenza al “metal replacement”, per cui imprese manufatturiere stanno valutando il passaggio da produzioni di materiali metallici a nuovi composti alternativi come i polimeri, adatti alla stampa 3D.

Alcune barriere da superare

Tuttavia, in un mercato in costante e continua evoluzione, tracciare dei trend e delle direzioni può diventare fuorviante e non di meno riduttivo, per questo non procederemo oltre nello spiegare i metodi e le loro applicazioni. Però, tale vastità non risolve una delle principali problematiche che limitano la diffusione dell’additive manufacturing. È giusto sottolineare uno dei dubbi che attanaglia imprenditori intenzionati a rinnovare la propria attività, cioè la necessità di redesign del prodotto.  È sconcertante notare come approssimativamente il 73% di coloro che abbiano introdotto tecniche di AM non abbiano ricevuto supporto nel re-design. Marco Zani a riguardo sottolinea che “non sempre è necessario procedere in tal senso in quanto modelli usati precedentemente possono non richiedere sforzi per il loro adattamento alla stampa 3D; qualora fosse invece necessario, i nostri servizi includono un considerevole supporto all’impresa in tal senso, per non lasciare il cliente nell’incertezza”.

Gli innegabili vantaggi talvolta collidono con le difficoltà nel comunicare il modello. Queste tecnologie si devono scontrare con varie barriere nella loro applicazione alle operazioni aziendali, rilevate in due ordini di problemi: culturale e di skills.

Nel primo, l’AM soffre storicamente di un’asimmetria informativa difficilmente dipanabile. Infatti, la conoscenza delle tecniche non corrisponde necessariamente alla consapevolezza della loro applicabilità. In tal senso risulta necessario uno stretto lavoro di collaborazione con i fornitori di soluzioni AM per comprendere la tecnologia e le sue applicazioni in modo circostanziato e non ambiguo. Società come Mark One hanno compreso la necessità e forniscono adeguati servizi di consulenza e co-progettazione a tal fine. Inoltre, risulta difficile iniziare progetti di collaborazione se la prospettiva si basa solo su ROI e valori misurabili. Perciò, l’impresa che si trova a interessarsi nell’additive deve cambiare visione e testare la tecnologia per vedere i vantaggi indiretti quali una rivoluzione organizzativa e l’abbracciare dinamiche lean. A ciò si collega anche il secondo punto. L’assenza di skills necessarie ad amministrare l’additive manufacturing non deve essere una limitazione ma un’opportunità. Vi è bisogno di un forte investimento culturale e non solo tecnico di apertura a nuove frontiere nella produzione e progettazione, di modo che non solo il decisore ma ogni fruitore nell’organizzazione sia cosciente e disponibile ad integrarle. Per questo nuovi player innovativi e fornitori di servizi consulenziali si adoperano per colmare il divario conoscitivo e trasmettere non solo la necessaria consapevolezza tecnologica, ma una nuova visione d’impatto ed opportunità dell’AM.

Per concludere, niente può essere più eloquente di un’affermazione che ci ha colpito di Marco Zani, che più di tutte descrive il perché l’AM è probabilmente la tecnologia più disruptive sul mercato al momento. “Nell’additive manufacturing, adozione comporta incertezza, un salto che molti potrebbero temere per la sua ambiguità. Infatti, le tecnologie emergenti migliorano/progrediscono grazie alla nascita di collaborazioni tra imprenditori attenti e visionari, con i quali si possono trovare nuove applicazioni. Questa spirale auto-rinforzante sarà sempre e solo abilitata dalla lungimiranza e creatività caratteristica dell’imprenditore.

 

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