Piattaforme WEB e diffusione di informazioni online

Il web 2.0 ci ha abituati a ricevere, inoltrare e condividere quotidianamente una grande quantità di informazioni di genere più vario attraverso la rete. Alcune imprese hanno così progettato piattaforme in grado di raccogliere e convogliare sul web le informazioni fornite direttamente dagli utenti. Contrariamente a quanto molti pensano, però, i gestori delle piattaforme web non operano in uno spazio senza regole, anzi.

tripadvA cura di Michela Maggi, avvocato – PhD in Intellectual Property Law

Molti di noi, pur non essendo dei nativi digitali, hanno preso l’abitudine di comunicare ad altri su Internet i propri pensieri e soprattutto le proprie opinioni su prodotti e produttori. Tanto che alla fine i blog ed altri mezzi più “social” sono diventati un mezzo per condizionare l’acquisto di un certo prodotto o di un certo servizio o persino per sondare la reputazione aziendale, a dispetto della pubblicità che molte imprese si impegnano a fare per costruirsi un’immagine determinata e possibilmente orientata al positivo. Su questa sete di informazioni alcune imprese hanno costruito solidi giri di affari, progettando piattaforme ben organizzate e dalla grafica accattivante, in grado di raccogliere e convogliare sul web le informazioni fornite direttamente dagli utenti. Contrariamente a quanto molti pensano, i gestori delle piattaforme web la cui attività consiste appunto nell’organizzare e fornire informazioni non operano in uno spazio (quello appunto web) senza regole. Essi sono infatti tenuti al rispetto della legge vigenti (che ci sono) e devono prendere in attenta considerazione alcuni profili problematici che potrebbero declinarsi in diverse figure di illecito: pensiamo, ad esempio a un sito che raccoglie e diffonde opinioni ed informazioni che potrebbero essere diffamatorie, o ad una piattaforma che fornisce informazioni ingannevoli anche solo latamente ai consumatori, o che semplicemente nel gestire le informazioni inserite dai propri utenti non rispetta le condizioni contrattuali o i termini di utilizzo. Certo, il bilanciamento della forza precettiva delle regole finalizzate a una corretta gestione e circolazione delle informazioni non è affatto semplice, perché deve fare i conti con alcuni capisaldi del nostro ordinamento giuridico, come la libertà di opinione e la libera circolazione delle informazioni. Ma ripeto: le regole ci sono e la loro violazione o la mancanza di compliance a certe normative emergono con molta più facilità rispetto all’esterno della rete, essendo il contenuto delle piattaforme e dei siti web sotto gli occhi di tutti. Vale la pena, a questo proposito, di prendere in considerazione una delle ultime vicende giudiziarie in ordine cronologico, quella che ha visto protagonista la piattaforma online di recensioni Tripadvisor.

Il caso Tripadvisor

Tripadvisor è un servizio online talmente noto che non ha bisogno di presentazioni. Come tutti sanno, offre ai suoi visitatori informazioni turistiche e recensioni pubblicate dagli utenti su alberghi, ristoranti e strutture di altro tipo. Forse non tutti sanno che, il 19 dicembre 2014, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato o Antitrust ha irrogato a Tripadvisor una multa di 500.000 euro per l’avvenuta presunta diffusione di informazioni ingannevoli (recensioni e altro) sul suo portale e la conseguente messa in atto di una pratica commerciale scorretta. L’Unione Nazionale dei Consumatori, seguita dalla Federalberghi, ha infatti dato il via al procedimento, lamentando che il sito diffondesse affermazioni ingannevoli, come tali in grado di alterare il comportamento economico dei consumatori, fino a lasciare visibili al pubblico recensioni di hotel chiusi da vari anni o ristoranti inesistenti.

Per difendersi, Tripadvisor ha sostenuto, fra le altre argomentazioni, che il numero elevatissimo di recensioni pubblicate quotidianamente rende impensabile un controllo capillare sui fatti riportati nelle recensioni stesse e che, d’altro canto, non è possibile impedire ad un utente di scrivere una recensione inventata. Inoltre, sempre a dire di Tripadvisor, una singola recensione, isolata rispetto alle altre, non è in grado da sola di orientare le scelte economiche dei consumatori, sottolineando il suo ruolo di mero “contenitore di informazioni”. L’Antitrust ha però respinto le difese di Tripadvisor che si è appunto vista condannare al pagamento di 500.000 euro. Contro questa decisione, Tripadvisor ha però reagito proponendo ricorso al TAR, che si è pronunciato molto recentemente ovvero in data 13 luglio 2015, annullando il provvedimento dell’Antitrust e “salvando” così Tripadvisor dalla citata multa e soprattutto dalle ulteriori conseguenze che avrebbero potuto portare la nota piattaforma a non poter più operare come sempre. E’ interessante notare che la decisione del TAR ha sottolineato la non ingannevolezza delle informazioni diffuse da Tripadvisor soprattutto nelle condizioni di utilizzo del sito, dove si fa rifermento a “tante recensioni vere e autentiche” e non a “recensioni tutte vere e autentiche”, mentre per il resto si tratta di una mera descrizione del servizio offerto. Il TAR inoltre, pur rilevando che l’Antitrust non avrebbe soppesato alcuni elementi che avrebbero invece avuto rilevanza per valutare una possibile illiceità del comportamento di Tripadvisor, ha ritenuto che l’Antitrust non avrebbe preso in adeguata considerazione la presenza sul sito di disclaimer volti a separare le informazioni inserite dagli utenti dalla responsabilità di sé medesima, concludendo che il consumatore medio è in grado di ponderare le informazioni ricavate in virtù della quantità e della loro provenienza. Secondo il TAR, non è quindi la singola recensione ad influenzare le scelte dei consumatori, ma l’insieme delle recensioni pubblicate su una precisa struttura, delle quali peraltro Tripadvisor non garantisce la veridicità in alcuna parte del sito. La conclusione è stata che Tripadvisor non avrebbe computo alcun illecito.