Particolari finiti senza truciolo

Attraverso la tecnologia SLM, ovvero Selective Laser Melting, è possibile ottenere particolari finiti, anche per utilizzi molto gravosi, senza produrre truciolo. Ecco come funziona, e come vanno trattati i files CAD per poterli “materializzare”
di Diego Torazza
Ormai da qualche anno la prototipazione rapida si è capillarmente diffusa, grazie al crollo dei costi delle macchine più semplici: parliamo però di bozzetti per valutazione estetica o ergonomica in materie plastiche. Facciamo subito una distinzione: qui parleremo di macchine, certamente costose e di gestione più complessa, ma in grado di realizzare prototipi funzionali di parti meccaniche fortemente sollecitate utilizzando leghe di Acciaio o Titanio ad alta resistenza (le tensioni di snervamento possono superare i 1000 MPa…).

Il principio di funzionamento
Come spesso accade, a livello teorico-concettuale, il principio di funzionamento è intuitivo: sono molte però le difficoltà che rendono necessari diversi accorgimenti pratici per ottenere un processo affidabile ed automatizzato.
La meccanica della macchina è molto semplice: gli assi in movimento agiscono su materiale in polvere; le forze applicate sono modestissime e di conseguenza i motori hanno consumi elettrici ridotti e la struttura della macchina è molto più leggera rispetto alle tradizionali macchine utensili.

La tavola su cui sarà realizzato il pezzo è fissata ad un movimento verticale (convenzionalmente asse Z della macchina). Un’apposita barra, detta wiper, scorrendo sul piano XY distribuisce uniformemente sulla tavola un sottile strato di polvere. Il laser, solitamente di potenza compresa tra i 100 ed i 400 Watt viene direzionato sul piano mediante specchi (assi convenzionali X ed Y della macchina) “disegnando” una fetta del solido da realizzare. La precisione del processo viene garantita dall’elevata selettività: la zona colpita dal laser focalizzato ha un diametro compreso tra i 10 ed i 50 micron. Esistono varianti del processo in cui si utilizza un fascio elettronico in luogo del laser. Terminata la scansione la tavola si sposta verso il basso in Z per una distanza compresa tra i 20 ed i 100 micron, che può essere definita come “avanzamento” ed il wiper distribuisce un altro strato (layer) di polvere su cui verrà “disegnata” la fetta successiva.

Il processo di fusione della polvere deve avvenire in atmosfera inerte controllata (Ossigeno inferiore a 500 ppm): prima dell’inizio del processo viene aspirata l’aria e la camera viene riempita con gas inerte, usualmente Argon. Ciò è necessario sia per motivi di sicurezza (le polveri, ad esempio di Alluminio, sono altamente infiammabili e possono creare esplosioni innescandosi a causa di correnti statiche dovute a sfregamenti), sia perché gli ossidi possono comportarsi come scorie ed ostacolare il processo di fusione e successiva solidificazione, causando uno scadimento delle proprietà dei materiali.

La polvere è preziosa, ma il processo non spreca nulla
Al termine della realizzazione del pezzo (build) il pezzo finito, che nelle macchine più grandi può essere alto fino a 500 mm, si troverà interamente coperto di polvere non utilizzata. A questo punto un operatore alza la tavola e sposta la polvere non solidificata nel meccanismo di setacciatura per un suo completo riutilizzo.
Il materiale grezzo è costituito da polvere a granulometria controllata (normalmente entro i 25 micron) ottenuta per atomizzazione. A causa del particolare processo produttivo, il costo della materia prima è elevato (si parte da qualche centinaio di Euro al kg), questa tecnologia non si presta quindi a realizzare parti di grandi dimensioni. Va tuttavia ricordato che il materiale di scarto è virtualmente nullo poiché la polvere non fusa a fine processo viene setacciata e quasi completamente riutilizzata.
Dopo aver rimosso il pezzo dalla tavola ed eliminati meccanicamente gli eventuali supporti (sottili colonne o membrane di materiale, necessarie a sostenere certi tipi di geometrie per evitare che possano “affondare” nella polvere), a seconda della finitura desiderata, sarà necessaria la sabbiatura, il lavaggio o una semplice pulitura con aria compressa.

Dal CAD al pezzo finito: il disegno tecnico non serve piu?
Per poter essere utilizzati dalla macchina, i dati CAD devono essere integrati con altre informazioni ed opportunamente trattati. A partire dai diversi formati proprietari o anche da formati CAD standardizzati, quali IGES o STEP, è necessario convertire il file nel formato STL (Standard Tessellation Language). Ad oggi ormai tutti i sistemi CAD utilizzati in ambito professionale possono generare questo tipo di files. Tale formato, inizialmente creato da 3D Systems per la prototipazione rapida mediante stereolitografia, contiene soltanto la superficie del modello tridimensionale triangolarizzata (cioè approssimata mediante piccoli triangoli). Lo standard prevede che i singoli triangoli siano identificati mediante le coordinate dei vertici rispetto ad un sistema cartesiano di coordinate ed il vettore di orientamento della superficie, salvati normalmente in formato binario.

Il file in formato STL deve essere processato attraverso appositi software che effettuano essenzialmente tre operazioni. Il sistema innanzitutto, analizza la geometria del pezzo, ed in particolare la base di appoggio, le zone sospese (ossia volumi che, per l’orientamento del pezzo sulla tavola, si verrebbero a trovare supportati esclusivamene da polvere) e le parti cave suggerendo all’operatore, mediante interfaccia grafica, dove è necessario posizionare supporti. I supporti consistono in piccole colonne o membrane che rinforzano il pezzo, evitando che possa scomporsi per gravità o deformarsi a causa del calore all’atto della fusione localizzata della polvere; sono attaccati al pezzo attraverso una sezione molto piccola, in modo da poter essere poi facilmente rimossi, a mano o con pinze e piccoli scalpelli.

Un’altra interessante funzione è quella che permette di sostituire dei volumi (pieni o cavi) con micro-strutture reticolari (lattice structures). Si tratta di una funzione utilissima quando si parte da zero nel pensare il pezzo utilizzando l’approccio funzionale: mettere materiale solo dove serve, unendo le varie zone solo col materiale strettamente necessario. Se il pezzo è realizzato per asportazione di truciolo, si toglie materiale solo dove serve perché a maggior lavorazione corrisponde maggior costo: con la tecnologia SLM invece, lasciare materiale solo dove necessario rappresenta un risparmio perché si utilizza meno polvere!

Il pezzo da prototipare viene quindi virtualmente sezionato lungo l’asse Z con spaziatura tra le sezioni pari allo spessore desiderato per il singolo strato permettendo così di riprodurre la geometria del volume solido costituito dal pezzo con i supporti: il solido è quindi descritto come una successione di molte sezioni equispaziate (slices).
L’ultimo passaggio è l’inserimento dei parametri laser relativi al materiale che si intende utilizzare, da cui dipende fortemente il risultato finale: è possibile ad esempio regolare la potenza, la velocità di passata, la modalità di scansione delle aree, il tutto separatamente per i supporti, i contorni (che diverranno poi l’esterno del pezzo), l’interno. Benché a scopo di ricerca sia possibile variare tali parametri, a causa del numero e dell’interdipendenza degli stessi si tratta di un’operazione complicata. Per questo i produttori forniscono apposite librerie di materiali da cui il software acquisisce automaticamente i parametri standard.

Si ottiene così un file, di solito con estensione .sli o .cli che può essere trasferito alla macchina.
Naturalmente, se il pezzo necessita di prescrizione delle tolleranze o delle finiture superficiali, tali informazioni, non potendo essere integrate nel file, dovranno essere riportate nella consueta documentazione tecnica e trattate in maniera tradizionale.