Non basta la ricerca, bisogna sfruttarla

di Mario Guagliano

Lo scorso mese, per il mio editoriale, ho preso spunto da un libro che parlava del particolare modo di pensare dei progettisti e di ciò che li accomuna. E, tra le altre cose, avevo menzionato lo scienziato Alexander Fleming, scopritore della penicillina e premio Nobel per la medicina. Lo stesso Fleming mi fornisce lo spunto per il mio presente contributo. Infatti, non tutti, forse, sanno che, in realtà, la penicillina era stata scoperta circa trentacinque anni prima di Fleming in Italia, dal dottor Vincenzo Tiberio, napoletano, ufficiale medico nell’Esercito Italiano, che già nel 1895 aveva pubblicato sulla rivista “Annali d’Igiene sperimentale” una lavoro dal titolo “Sugli estratti di alcune muffe”, in cui mostrava e sottolineava il potere battericida di alcune muffe. Tiberio era riuscito a isolare alcune di queste sostanze ed a sperimentarne l’effetto benefico, sia in vitro che in vivo su cavie e conigli, fino ad arrivare alla preparazione di una sostanza con effetti antibiotici, analoga a quella di Fleming. Il lavoro era consistito nel coltivare, su terreni di coltura da lui preparati, alcuni ceppi di ifomiceti, nel preparare un estratto acquoso dei singoli miceti e nello studiare la loro azione su alcuni batteri, quali il bacillo del tifo, il bacillo del carbonchio, il vibrione del colera e vari ceppi di stafilococco. Insomma un vero e proprio precursore che non ha trovato il giusto spazio e il giusto ricordo nella memoria scientifica. Tiberio non è e non sarà né il primo né l’ultimo (un poco meglio è andata a Meucci, almeno posteriormente alla sua morte): tuttavia, la sua storia permette alcune considerazioni di interesse odierno, sia per i progettisti sia per chi progettista non è. La prima è che, senza una necessità stringente e un ambiente fertile anche scoperte importanti rischiano di rimanere inosservate. Di fatto, se gli studi sulla penicillina da parte di Fleming hanno avuto risonanza mondiale mentre la scoperta di Tiberio è passata inosservata è per il bisogno impellente di curare i feriti della seconda guerra mondiale, il che ha catalizzato ingenti investimenti e approfondimenti. Non solo, l’ambiente altamente industrializzato in cui la scoperta è maturata ha facilitato la sua industrializzazione, ed è questo che ha reso la scoperta così impattante sulla società. Quest’ultimo aspetto consente di sottolineare, se ce ne fosse bisogno, l’importanza dei progettisti industriali sul nostra vita e sul nostro modo di vivere. Ma di questo abbiamo già discusso non molto tempo fa. Oltre a ciò, la vicenda di Tiberio pone in evidenza un altro aspetto, purtroppo ancora attuale, nel panorama italiano: la difficoltà (a volte incapacità) di difendere e sfruttare i frutti della ricerca e/o della creatività italiana. Si, perché oggi come allora in Italia, a fronte dei tanti risultati di livello assoluto e di possibile industrializzazione, si hanno grandi problemi a difendere i risultati ottenuti e, comunque, a sfruttarli in Italia. Insomma, mentre in altri paesi (il Regno Unito insegna) si fa della ricerca e dell’innovazione un fattore chiave per lo sviluppo economico e sociale e si accompagnano con opportuni strumenti università, centri di ricerca e imprese allo sfruttamento industriale dei risultati di tanto impegno, in Italia, ora come ai tempi di Tiberio, la ricerca e l’innovazione è lasciata all’iniziativa dei singoli soggetti e non è facile trovare aiuti e sostegni per passare dall’idea allo sviluppo industriale. Inutile sottolineare che tutto ciò è un grosso ostacolo allo sviluppo e che sarebbe opportuna una riflessione al riguardo. A cominciare dalla redazione di bandi di finanziamento semplici e accessibili, in cui, come accade non di rado, non vengano poste condizioni tali da scoraggiare anche i più volonterosi tra i soggetti interessati.

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