I numeri di recente presentati da più fonti in una varietà di appuntamenti danno dimostrazione dell’importante crescita del fenomeno del cloud computing inteso come modello di fruizione di risorse tecnologiche distribuite e virtualizzate in Rete anziché su classica architettura client-server. L’onda lunga del paradigma interessa sempre più anche le aziende italiane e pur con cifre diverse rispetto a quelle delle realtà corporate fa sentire frequentemente i suoi benefici effetti anche presso le piccole e medie imprese. E finisce con il lambire l’orbita della progettazione industriale o comunque delle attività ingegneristiche, sebbene con sfumature differenti a seconda delle necessità di calcolo richieste; o ancora dei compiti specifici intrapresi dai vari professionisti. Sia nel corso di una giornata di studio organizzata dall’Associazione italiana per la tecnologia dell’informazione e delle comunicazioni (Aict) e sia durante un evento a tema allestito da Ibm a dare un’idea delle dimensioni della nuvola italiana è stato Alessandro Piva. Il responsabile dell’Osservatorio Cloud & Ict as a service e docente del Politecnico di Milano ha notato come il mercato di riferimento sia ancora tutto sommato piccolo; ma anche caratterizzato da una espansione costante. Il suo valore era di circa 443 milioni di euro che stando anche a quanto riportato da altri organi di informazione rappresentava il 2,5% dell’intera spesa informatica nel nostro Paese nel 2012. Nel 2013 dovrebbe aver effettuato un consistente balzo in avanti con fatturati in crescita dell’11% grazie al contributo ancora preponderante delle grandi società già affacciatesi alla nuvola in 67 casi su 100. Se tuttavia il 56% dei big ha risposto alle indagini di Piva dicendo di aver fatto ricorso abitualmente almeno a un servizio cloud; l’11% ha dichiarato d’essere in fase sperimentale. Il 25% si sarebbe detto solamente «interessato» a una introduzione futura ma è un risicato 8% ad aver manifestato disinteresse, anche in prospettiva, per questa innovativa forma di fruizione di applicazioni e potenza di calcolo. Tornando ancora agli small & medium business i livelli di utilizzo e le aspettative per l’avvenire offrono comunque l’immagine incoraggiante di un quadro in evoluzione, essendo solo il 30% circa degli interpellati dichiaratamente chiusi, almeno per il momento, a testare questo segmento dell’Ict.
Volano anche i piccoli
Nel corso dell’appuntamento ospitato da Big Blue è stato inoltre rilevato, così come hanno fatto alcuni degli intervistati per questa inchiesta, che la transizione dalle architetture informative classiche al mondo aperto del cloud è tutto fuorché banale. «Implica il passaggio», è stato detto, «da modelli d’uso tradizionali» e consolidati dal tempo e dalla storia, «ad altri basati invece sulla creazione di servizi su infrastrutture più industrializzate. È allora naturale che le piccole e medie imprese non abbiano necessità di industrializzare i servizi al loro interno», né budget dedicati. «Ma sul mercato possono ugualmente trovare quel che loro serve acquistando solo dei pacchetti mirati». Un sondaggio condotto dalla testata specializzata Il Corriere delle Telecomunicazioni presentato sempre nel contesto del convegno di Ibm ha contribuito però a svelare un volto per certi versi inatteso delle più piccole realtà nostrane; meglio disposte a innovare di quel che non si pensi. Esso ha infatti messo in luce come il ricorso alla nuvola sia stato preso in considerazione per ragioni di costo da meno della metà dei rispondenti (46%) che per il 71% erano entità da 10-100 addetti totali. Il fattore trainante della loro svolta strategica eventuale o già in corso d’opera è stato invece identificato dal 60% con la fruibilità diffusa e l’ubiquità dei servizi accessibili. Archiviazione di grandi moli di dati; capacità collaborative e utilizzo in mobilità sono apparsi come ulteriori driver di interesse e degni di attenzione sono i benefici che piccole e medie aziende si aspettano dal modello. Si tratta infatti dell’innovazione su prodotti e servizi nel 65% dei casi; una riduzione dei costi di gestione per 53 risposte su 100; della possibilità di liberare risorse in aree critiche per il 55%. Del centinaio di nomi intervistati per il survey molti hanno testimoniato di essere consapevoli della criticità del passaggio dal vecchio al nuovo ponendo l’accento sulle competenze. E ipotizzando di dover mettere a punto per approdare al cloud anche appositi corsi di formazione per il personale. Quanto ai produttori e provider del comparto informatico, è chiaro che in tempi di crisi essi trovino sulla nuvola inedite opportunità di business per sé e i loro clienti. Ma secondo quanto esposto fra gli altri dalla cloud manager di Ibm Alessandra Brasca l’espansione del settore è pressoché inevitabile.
Piloti del cambiamento
Per il colosso dell’It i rilevamenti di mercato indicano la marcata tendenza alla diffusione di applicativi social, mobile e big data in ambienti cloud e all’approccio all’informatica come servizio. Il segreto, entro un percorso che deve coniugare nuove tecnologie e business model con l’information technology cui siamo più abituati, starà nell’identificazione di un punto di incontro fra le spinte alla personalizzazione di accessi e servizi; e quelle a una immancabile standardizzazione. Forte della sua duplice natura di provider e di integratore di sistemi con servizi cloud gestiti e offerti grazie a una rete di data center sparsi fra Amsterdam, gli Stati Uniti, il nativo Sudafrica, l’Australia e Singapore, la multinazionale Dimension Data ha in previsione ulteriori ampliamenti. Punta infatti a nuove aperture e mira con decisione alle piccole e medie aziende alle quali ha già destinato un programma di canale che sta mietendo successi soprattutto in Europa. «Cerchiamo», ha detto a Il Progettista Industriale il line of business manager per data center e cloud Enrico Brunero, «di aiutare e guidare le aziende verso l’adozione del paradigma operando in modo da rendere la strategia valida e monetizzabile il più possibile capendo quali processi e applicazioni vi possano essere trasferiti. Perché non tutte le applicazioni si adattano al modello cloud; talora hanno bisogno di essere riadattati, o re-ingegnerizzati. E non tutti i clienti sono già pronti a sfruttare il modello cloud e necessitano di una guida anche per adeguare l’organizzazione ed i processi interni. Siamo piloti del cambiamento, non solo fornitori di servizi».
Un ruolo di guida che interseca anche la sfera della progettazione industriale sotto diversi aspetti. «Per prima cosa in quest’ambito vanno distinti prerogative e bisogni degli sviluppatori in campo ingegneristico e degli utilizzatori», ha detto Brunero, «da quelli delle grandi società e dei clienti nell’ingegnerizzazione. Costoro hanno bisogno di grandi capacità grafiche su potenti stazioni di lavoro; e forti potenzialità di calcolo per simulazioni di tipo per esempio termo o fluidodinamiche». Mentre però per i primi una workstation con una adeguata resa nel rendering può essere sufficiente; per gli altri il ricorso al cloud è ben più strategico e vantaggioso: «Le capacità di calcolo», ha detto Brunero, «cambiano con il variare delle esigenze e del numero di utenti impegnati nelle simulazioni o nel rendering stesso. Per simulare con un video il comportamento termodinamico di un componente in ferro, tanto per ricorrere a un altro esempio, ci si può alternativamente affidare a risorse locali o a schemi di grid computing che dopo averli calcolati restituiscono solo i dati utili».
Come gestire le risorse
Dunque il nodo da sciogliere all’interno di un’organizzazione aziendale ha a che fare con le politiche di gestione delle risorse. E senza affidarsi a un grid da oltre 100 processori quando quelli davvero necessari sono molti meno, «i problemi di un ufficio tecnico possono essere risolti con un pool di risorse su cloud tali da mettere a disposizione, in modalità embedded, capacità di calcolo con interfacce di programmazione interne alle applicazioni on demand».
Quest’ultimo modello è secondo Dimension Data in costante ascesa nella sua qualità di «meccanismo on/off di accesso agli applicativi basato sui bisogni, con una ovvia razionalizzazione delle dimensioni delle risorse di calcolo e dei costi, poiché è pagato a seconda dei concreti utilizzi». Idealmente d’accordo con le Pmi preoccupate di dover formare competenze interne per lo sviluppo di strategie cloud-oriented perché convinto che questa architettura necessiti di skill a essa fortemente ispirati Brunero ha tracciato un’ulteriore distinzione fra le categorie degli utenti e degli sviluppatori.
«Per tutti, il vincolo primario è la performance della rete. Per chi sviluppa», ha detto, «l’esigenza è quella di mutare e arricchire il ventaglio delle applicazioni per poter amministrare al meglio questa nuova forma di allocazione delle risorse. Per chi utilizza, una volta abilitate queste parti», ha aggiunto, «la decisione riguarda solo come avvantaggiarsene, non più però come una serie di pacchetti messi a disposizione da un provider bensì come ambiente cloud di provisioning o meglio di self-provisioning allocato direttamente nel centro-dati di ciascuna società o impresa utilizzatrice».
Fornitori e utenti
Vista dalla prospettiva degli end user inoltre la nuvola garantisce funzionalità aggiuntive, quali la possibilità di farvi risiedere non solamente applicazioni e servizi industriali in senso stretto ma anche una molteplicità di altri, passando per lo step basilare della virtualizzazione sul quale si fondano gli altri mattoni dell’accessibilità, della portabilità, della fornitura di software a 360 gradi. Le filosofie di utilizzo sono poi estremamente variegate e vanno dal posizionamento su cloud e intranet private (o pubbliche e aperte a clienti o partner) dei carichi applicativi web based, scalabili in funzione dei bisogni; al lancio di nuovi e prodotti con componenti infrastrutturali poste su cloud. Il minimo comune denominatore è la flessibilità come fattore chiave della risposta al cambiamento.
«Il cloud impone», ha detto Brunero, «un nuovo consolidamento dei meccanismi amministrativi e di approvvigionamento IT delle imprese. Passare al provisioning o al self provisioning implica che i processi vadano rimodulati e così pure le procedure e i flussi di lavoro interni alle aziende. Il cloud abbatte i tempi e modifica le filosofie operative, a iniziare dalla più dinamica allocazione dei centri di costo. È un processo», ha proseguito il line of business manager, «che parte dall’identificazione delle capacità e delle peculiarità delle infrastrutture e delle modalità operative di ciascuna azienda». Nel percorso vanno tenuti in considerazione i citati workload insieme alla tipologia e alla qualità delle risorse necessarie nei momenti di picco, nella coscienza che il cloud è essenzialmente un facilitatore della vita d’impresa in ambiti dei più disparati. Dal Product lifecycle management nelle grandi organizzazioni, che possono trarre da questo punto di vista grandi benefici data la natura di per sé aperta e collaborativa del cloud, sino alla gestione delle operazioni presso le piccole realtà. «Anzi», ha concluso Enrico Brunero, «per le Pmi le note positive sono ancor più numerose e importanti, perché delegare parte delle operazioni senza costi ulteriori è un vantaggio competitivo».