Appena laureati all’Istituto politecnico di Rensselaer a Troy nello Stato di New York, la più antica università tecnologica degli Stati Uniti, Eben Bayer e Gavin McIntyre sono pieni di entusiasmo e hanno il futuro in tasca. Fra le tante, una cosa li affascina: i funghi che crescono sui trucioli di legno e il modo in cui i miceli, cioè le loro parti vegetative, sviluppandosi, saldano un truciolo all’altro come farebbe una colla o una resina. Bisogna approfondire il fenomeno. E i due giovani decidono di farlo sfruttando gli strumenti offerti dal laboratorio Inventor’s Studio del politecnico di Rensselaer. Lì mettono a punto un processo che sfrutta le proprietà di accrescimento dei funghi per legare tra loro singole particelle di materiale isolante di origine vegetale. Creano così un isolante rigido ed ecologico, con un impatto ambientale molto più ridotto delle tradizionali schiume di polistirene espanso (polistirolo) che sono normalmente utilizzate per il medesimo scopo: è 100% di origine naturale e compostabile.
Un successo da subito
Poco dopo, Eben e Gavin fondano la loro azienda, la Ecovative Design. È il 2007. L’American Society of Mechanical Engineers (ASME) e la National Collegiate Inventors and Innovators Alliance (NCIIA) li premiano con piccole sovvenzioni, che i due ingegneri usano per creare i primi campioni del nuovo materiale. Arrivano poi i premi dall’Autorità per la ricerca e lo sviluppo energetico dello Stato di New York e dall’Agenzia di protezione ambientale statunitense, che danno loro i finanziamenti necessari a sviluppare i diversi prodotti. È solo l’inizio, perché negli anni successivi la Ecovative Design vincerà diversi premi prestigiosi per i suoi prodotti innovativi. Il primo dei quali entra sul mercato nel giugno del 2010: un imballaggio protettivo per mobili da ufficio della Steelcase. Seguono molte altre applicazioni per diversi clienti. Nel 2012 nasce il “RestoreTM Mushroom Packaging”, risultato di un accordo commerciale con Sealed Air, nota azienda che opera a livello mondiale nell’imballaggio, e che fabbrica e vende il prodotto su licenza della Ecovative Design. Anche la ricerca di nuove formulazioni è continuata in questi anni e ha portato allo sviluppo di nuove miscele usando vari sottoprodotti agroalimentari come biomassa di partenza, per ottenere diverse densità del materiale, differenti caratteristiche di protezione e svariati effetti estetici.
Come funziona il processo
Il materiale “cresce” sfruttando le potenzialità della natura. «Facciamo in modo che si sviluppi il materiale desiderato usando un micelio: l’apparato vegetativo di un fungo che si presenta come una rete di cellule filiformi. Questa cresce e si sviluppa attorno a sottoprodotti agroalimentari organici come la pula di grano saraceno, il tegumento di avena o le bave di cotone e assume la forma che intendiamo conferire all’oggetto finale, che è poi quella del contenitore in cui è condotta la trasformazione biochimica e che va decisa prima di iniziare il processo, in funzione della destinazione d’uso del materiale», spiegano alla Ecovative Design. «In cinque o massimo sette giorni, al buio, senz’acqua, in condizioni sterili e senza usare additivi petrolchimici, il micelio avviluppa la biomassa e la trasforma in un imballo resistente. All’interno di ogni centimetro cubo del packaging c’è una matrice di 8.000 finissime fibre di micelio».
È importante osservare che si manipola solo il tessuto del fungo senza mai coinvolgere le spore: una volta ottenuta la forma desiderata, un processo di riscaldamento e disidratazione arresta la crescita naturale del fungo e impedisce lo sviluppo di spore. «Non c’è pertanto alcun rischio di allergia per chi utilizza il prodotto, così come per chi lo processa: è materiale morto come fosse cartone», assicura l’azienda.
Dal punto di vista tecnico, il processo di formazione del biomateriale si propone come alternativa alle tecnologie di produzione delle schiume per packaging o al prestampaggio. Anche i costi, fa sapere l’azienda, sono confrontabili con quelli delle schiume in EPS, EPP, EPE (polistirolo, polipropilene e polietilene espansi).
Gli usi pratici
Totalmente biologico e senza colle, il materiale può essere impiegato negli imballaggi, negli isolamenti anche acustici, nelle protezioni contro il fuoco, nei calchi preformati, nei moduli strutturali per applicazioni edilizie. Si tratta di una nuova generazione di biocompositi che presentano un vantaggio rispetto ad altre materie prime bioplastiche: mentre queste richiedono vaste colture dedicate che potenzialmente sottraggono risorse alimentari, con la bioplastica da funghi si parte da prodotti di scarto generati ogni giorno dall’industria e che altrimenti non sarebbero neppure sfruttati e valorizzati. Il cuore del brevetto riguarda, oltre che la tipologia di micelio individuata, la corretta calibratura delle materie prime per garantire le diverse caratteristiche tecniche dei materiali: densità, forza, consistenza, aspetto.
A oggi la bioplastica non ha ancora ottenuto la certificazione della Food and Drug Administration (FDA) per l’idoneità al contatto alimentare diretto, anche se probabilmente non esistono limiti in tal senso. Nell’imballaggio di alimenti, può essere per ora utilizzata come packaging secondario con funzione protettiva e isolante.
Ecologico e sostenibile
Oltre al fatto di provenire da risorse vegetali biodegradabili e compostabili, non edibili – e quindi non in competizione con quelle alimentari – il processo di formazione della bioplastica fungina utilizza molta meno energia di quella usata per produrre una normale schiuma sintetica a base, per esempio, di polistirene espanso. «Questo perché sfruttiamo la naturale capacità del micelio di trasformare lignina e cellulosa in resistenti biocompositi e il processo può avvenire senza bisogno di molto calore, pressione o energia», spiegano i tecnici della Ecovative. «Per ottimizzare ogni fase del procedimento, abbiamo condotto l’analisi del ciclo di vita (LCA, Life Cycle Assessment)».
Il materiale è compostabile come lo sono altre bioplastiche, ma anche da questo punto di vista l’azienda segnala un vantaggio: «Molti biopolimeri devono essere compostati in appositi reattori industriali, mentre la nostra bioplastica fungina si può compostare facilmente anche nel giardino di casa». Questo non significa però che il materiale abbia una conservabilità ridotta. Se è mantenuto pulito e lontano dall’umidità, ha una durata pressoché illimitata, un po’ come i mobili di legno delle nostre case.
Un team in evoluzione
Il gruppo di ingegneri, ricercatori, tecnici e specialisti di prodotto della Ecovative Design è aperto a nuove collaborazioni e sperimentazioni esterne con chi sia interessato al materiale. Di recente è stato messo in commercio un kit che permette ai produttori di imballaggi di osservare da vicino il fenomeno di formazione della bioplastica dal fungo e di sperimentare la tecnologia in modo autonomo presso il proprio stabilimento. Anche per suggerire agli inventori nuove utili applicazioni.