“Patent Box”: chi aiuta le imprese ?

A cura di Michela Maggi, avvocato – PhD in Intellectual Property Law

Come molti sapranno e come abbiamo spiegato anche in numeri precedenti di questa rivista, nel nostro ordinamento è stato introdotto un regime di detassazione degli asset immateriali, chiamato impropriamente “patent box”. Dico “impropriamente” perché questo regime non riguarda solo i “patents” ovvero i brevetti, ma – in base all’ultima modifica della relativa disciplina – anche altri diritti di privativa, come i marchi, il design ed il segreto industriale, oltre al software proteggibile come diritto di autore. Si tratta di una misura volta ad incentivare la ricerca e l’innovazione, nonché a rendere il mercato italiano maggiormente attrattivo rispetto a quelli stranieri che già offrono questa possibilità anche con politiche fiscalmente aggressive. Alla misura hanno già aderito moltissime imprese ed altre stanno ancora aderendo. Tuttavia ho riscontrato che molti soggetti si trovano in difficoltà ad accedere e ad attuare la procedura richiesta all’ottenimento degli sgravi. Vi sono anche serie difficoltà nell’individuare i criteri in base ai quali i singoli asset immateriali possono essere presi in considerazione ed in che misura. Per ovviare a questi inconvenienti ed alle relative difficoltà, ci sono alcune imprese che operano professionalmente sul mercato, per aiutare altre imprese ad accedere alla misura ed anche a partecipare ad altri bandi ed iniziative che consentono di ottenere vantaggi economici concreti in termini di finanziamenti, sgravi, ecc.

Una di queste, alquanto note nel Nord Italia, si chiama BTS-LAB ed ha sede a Milano. Abbiamo intervistato per voi i responsabili dott. Enrico Bertolotti e dott. Vittorio Confalonieri.

Quale è il vostro core business e come aiutate le imprese? Il nostro core business attiene alle attività di supporto alle aziende nei loro progetti di sviluppo, con particolare riferimento all’aspetto tecnologico e alla implementazione e gestione del know-how e degli asset immateriali. La nostra attività, oltre al supporto consulenziale, ha anche l’ambizione di accrescere la coscienza della centralità della innovazione quale investimento strategico. Ciò significa considerare e trattare le attività di R&S come un investimento, con tutte le attenzioni necessarie sia dal punto di vista della gestione dell’investimento – controllo, pianificazione, obiettivi, ecc. – sia alla tutela e valorizzazione del risultato. In particolare le aziende devono imparare a valorizzare i risultati dei loro investimenti in innovazione, considerando non solo la loro utilizzabilità diretta – per un prodotto – ma anche il lato patrimoniale e il possibile valore addizionale generabile dal trasferimento di tecnologia e know how verso altri soggetti. In questo caso abbiamo specifici prodotti – VAI – Valorizzazione Asset Immateriali – che è stato implementato nel passato anche con il contributo della Camera di Commercio di Milano – e T3I – Trading e Trasferimento di Tecnologia e Innovazione – che utilizza anche un proprio data base proprietario che vede profilate oltre 1500 aziende. Il trasferimento di tecnologia e know how, a nostro parere, diventerà un elemento vincente nel processo di sviluppo e ammodernamento delle imprese italiane. Quando possibile proponiamo alle aziende di presentare i loro progetti su bandi di sostegno alla innovazione e ricerca sia a livello regionale e nazionale che a livello europeo. Questa attività, oltre a consentire, in caso di successo, di supportare finanziariamente le attività di sviluppo, ha il pregio di obbligare le imprese a formalizzare e strutturare i loro progetti, valutando e analizzando tutti gli aspetti critici, ivi compresi quelli delicatissimi sull’utilizzo dei risultati e sulla redditività dell’investimento.

Quale tipo di imprese sono il vostro target di riferimento? Il nostro target riflette il panorama delle imprese italiane. Quindi i nostri Clienti sono principalmente PMI (piccole medie imprese) con alcune grandi imprese. Cerchiamo di selezionare imprese che hanno progetti promettenti e che effettivamente investono in sviluppo. Anche le start-up innovative rientrano tra il panorama della nostra clientela; in questo caso la nostra attività si allarga anche al sostegno nella implementazione del business project e del modello di business e di gestione.

Da quanto tempo operate in questo mercato? BTS-LAB è di fatto una start up. Tuttavia è frutto di uno spin-off di un’altra società che ha cessato nel 2014. Da essa ha acquisito competenze, know how e parte della clientela. Nel corso dei precedenti 20 anni di attività abbiamo sostenuto più di 1500 aziende, acquisendo una formidabile conoscenza sia del panorama delle aziende italiane (prevalentemente nel nord Italia), sia dei processi e delle tecnologie in sviluppo. I settori di intervento sono amplissimi, con pochissime eccezioni.

Potete descrivermi qualche caso di successo di imprese che hanno avuto i vantaggi/finanziamenti sperati? Penserei a tre casi. Per questione di riservatezza non nominerò il nome delle imprese ma descriveremo sinteticamente gli aspetti fondamentali.

1) Grande impresa operante nel settore dei controlli – la seguiamo dal 1994. Aveva poco più di 100 dipendenti e uno stabilimento. Hanno saputo sfruttare molto bene le opportunità di agevolazione esistenti. Grazie a queste hanno potuto sviluppare progetti di sviluppo tecnologico che li ha portati all’attuale livello: leader nel settore; 4 stabilimenti in Italia, 4 nel mondo, più di 1.000 dipendenti, fatturato superiore ai 180 milioni, più dell’80% verso l’estero. Investimenti in R&S pari al 7-8% del fatturato.

2) Media impresa operante nella meccanica di precisione: fatturato attorno ai 12 milioni, redditività interessantissima, zero problemi di liquidità. Opera in un mercato tradizionale dove la concorrenza estera (Cina) è fortissima e dove ha saputo ritagliarsi una nicchia grazie alla innovazione continua. Tali investimenti hanno consentito all’azienda di svilupparsi e essere “immune” dalla crisi che, nel settore, ha portato alla chiusura di importanti concorrenti. Il miglior complimento alla nostra attività è stata la risposta del CEO alla mia domanda circa il segreto della capacità aziendale di svilupparsi: “… ingegnere, è grazie alle attività di sviluppo continue, quelle che voi supportate, che riusciamo a stare e crescere sul mercato…”

3) Piccola impresa, operante nel settore della cosmetica naturale: abbiamo iniziato a supportarla da un paio di anni. Il potenziale dell’azienda è elevatissimo – tassi di crescita del 30-50% annuo. Con loro abbiamo pianificato le attività di sviluppo sia del loro core business tradizionale – assistenza alla creazione di uno stabilimento in Brasile – sia nella ideazione, progettazione e definizione di un nuovo modello di business dalle potenzialità impressionanti. Per queste attività abbiamo anche avuto il supporto finanziario della Regione Lombardia – sede produttiva estera – e della CE, attraverso il grant nell’ambito del programma H2020 – SME Instrument.

Cosa ne pensate dell’attuale sistema del cosiddetto “patent box” e su cosa chiedereste maggior chiarezza? Il sistema è certamente stimolante e potenzialmente validissimo. In sintesi consente di apprezzare le attività di sviluppo focalizzandole sui risultati che essere riescono a produrre economicamente attraverso la creazione di asset immateriali che vengono riversati sui prodotti o che vengono ceduti a terzi. Probabilmente la volontà-necessità di conformarsi alle normative internazionali – OCSE – non ha colto in pieno la peculiarità della realtà italiana. Essa è costituita prevalentemente da PMI le quali difficilmente operano in un contesto dove è necessario il “ruling internazionale”. Tuttavia esse operano e generano know how e altri asset immateriali. La promessa di procedure semplificate per le PMI è stata un po’ vanificata dalla pubblicazione dei decreti attuativi, dove l’apparente semplificazione – la non necessità di descrivere e giustificare la metodologia di calcolo del reddito derivante dall’utilizzo diretto dei beni immateriali – in realtà tale non è. Infatti, in sede di contraddittorio saranno comunque valutati e le imprese, a nostro parere, devono presentarsi con una loro ipotesi per non essere totalmente in balia delle valutazioni dell’Agenzia Entrate. Meglio sarebbe stato se l’AE avesse definito un modello e un criterio, in base al quale l’azienda potesse aderire – e in tal caso tanto varrebbe una procedura semi automatica di approvazione – dando la possibilità alla impresa di proporne uno alternativo.

Anche a fronte di chiarimenti e modifiche introdotte con la nuova Legge di Stabilità rimangono molte perplessità circa il quadro di riferimento, le modalità di redazione dell’istanza (dettaglio e contenuti richiesti – non solo titoli), le tempistiche – perché non stabilire un tempo massimo? Sarebbe opportuno che almeno per il 2016 fossero chiariti tutti i punti ancora indefiniti per dare alle imprese la certezza del loro operato e della possibilità effettiva di poter fruire del beneficio. Credo che un rapido chiarimento del quadro possa effettivamente innescare quel processo di innovazione rispetto al tema dei beni immateriali che ancora, in Italia, è scarsamente considerato ma che in altri paesi è tenuto altamente in considerazione. Il valore di un’impresa, al giorno d’oggi, è nella sua capacità di produrre conoscenza e asset immateriali. Su questo piano si gioca il futuro. Tutto il sistema deve attrezzarsi sia da parte del legislatore e delle sue “leve operative” sia da parte delle imprese e dei loro consulenti. Su questo un piccolo appunto: i commercialisti sono stati colti impreparati. Non sono abituati, nella grande maggioranza, a trattare gli asset immateriali. Basta leggere i bilanci e vedere lo stato patrimoniale delle imprese, specie PMI.

Quanto riportano alla voce Beni Immateriali? Trovate che il legislatore abbia individuato i giusti asset immateriali? Forse. Con la grande premessa che ha voluto forzare la mano inserendo asset – marchi- che potranno portare beneficio solo per istanze presentate fino al 30 giugno 2016, mi pare che le limitazioni possano essere condivise. L’esclusione di alcuni asset – la clientela, per esempio – è riconducibile alla necessità del nexus approach e della presenza di attività di R&S. Sostanzialmente si è voluto focalizzare il beneficio verso la permanenza in Italia di sostanziali attività di R&S (rappresentata anche dal ratio tra costi qualificati/ costi totali). Il che appare condivisibile.