Aziende sull’orlo di una crisi di spreco

Touching Technology. A businessman with moving images.

Focalizzato sul tema dell’innovazione nelle imprese l’osservatorio GeCo (Gestione dei processi Collaborativi di progettazione) ha fatto di recente il punto, con una ricerca mirata, sui freni che ostacolano evoluzione e competitività, mostrando come molti di essi sarebbero facilmente evitabili.

di Roberto Carminati

L’osservatorio GeCo sulla gestione dei processi collaborativi di progettazione, facente capo al Politecnico di Milano e coordinato

Touching Technology. A businessman with moving images.

dal professor Sergio Terzi ha presentato recentemente lo studio A ciascuno il suo: ingredienti e ricette per innovare. Intervistando o visitando un campione di imprese variabile, a seconda degli argomenti portanti trattati, fra le 100 e le 260, il report ha inteso concentrarsi su quattro macro-aree tematiche. Sono quelle delle (buone) pratiche di progettazione; dei cosiddetti archetipi di innovazione; delle prestazioni competitive e non da ultimo degli sprechi, sempre analizzati a partire dalla loro sorgente primaria, la fase di definizione dei progetti. Tutte e quattro le categorie raggruppano diversi sottoinsiemi. La prima ha tenuto conto dell’organizzazione della progettazione, della gestione dei suoi processi tipici, della gestione delle conoscenze in azienda, basandosi sul modello Climb per la definizione della maturità dello sviluppo di prodotto. Climb è un acronimo indicante differenti livelli di consapevolezza nel ricorso alle best practice. Dalla C di Chaos alla B di Best practice, appunto, passando per una sensibilità bassa (Low), Intermediate o Mature. La seconda ha identificato sei cosiddette variabili di clusterizzazione. Ovvero regole e metodi per valutare efficienza e prestazioni; quelle per ottenere una progettazione orientata al cliente; i cardini per l’assegnazione delle competenze all’interno di un team in un’ottica multi-funzionale; quelle dell’innovazione sostenibile e della progettazione collaborativa. Infine, e in parte come risultanza delle precedenti, la gestione della conoscenza formalizzata, basata su modelli condivisi e su una attenta pianificazione di «creazione, accumulo e riutilizzo» delle competenze. Nell’introdurre l’istanza delle performance l’osservatorio ha prima passato in rassegna i fattori competitivi, ovvero gli obiettivi strategici delle imprese, che ne definiscono il posizionamento sui mercati e ne plasmano quindi il paradigma di business. La scala di base per la valutazione della capacità di concorrere è rappresentata dal modello Heart, in cui la competitività rispetto agli scopi è valutata qualitativamente come High, Elevate, Average (cioè nella media) oppure decisamente bassa (Relatively Trifle e Trifle). Al contrario, il modello Score classifica le prestazioni propriamente dette, ovvero i risultati ottenuti partendo dai goal proposti. E passa da Supremely above, e Clearly above, cioè molto sopra quanto espresso dai competitor di riferimento; On the same level; Relatively below, ovvero parzialmente al di sotto; ed Extremely below, molto deludenti.

Troppo tempo perso per le troppe revisioni

È però dall’ultimo, ma tutt’altro che il meno importante, dei punti esaminati, che sono giunte le maggiori e più sgradite

Il 91% delle società interpellate - nei settori meccanico, della componentistica e impiantistica, elettrico e del bianco, dell’elettronica e telco, chimico, alimentare, tessile e della moda - perde tempo (e danaro) per modifiche e revisioni, dovute a cambiamenti nelle priorità.
Il 91% delle società interpellate – nei settori meccanico, della componentistica e impiantistica, elettrico e del bianco, dell’elettronica e telco, chimico, alimentare, tessile e della moda – perde tempo (e danaro) per modifiche e revisioni, dovute a cambiamenti nelle priorità.

sorprese per la manifattura di casa nostra. Perché lo spreco, nonostante che la crisi avrebbe dovuto condurre a una maggiore attenzione a questo aspetto, poiché foriero di perdite gravi, è ancora sovente uno dei nemici numero uno dei produttori e dei loro progettisti. L’osservatorio, della cui orchestrazione ha avuto la responsabilità la dottoressa Monica Rossi, ha voluto riassumere diffusione e incidenza di questa pessima consuetudine in una autentica Top 10. Essa svela che il 91 delle società interpellate – nei settori meccanico, della componentistica e impiantistica, elettrico e del bianco, dell’elettronica e telco, chimico, alimentare, tessile e della moda – perde tempo (e danaro) per «modifiche e revisioni, dovute a cambiamenti nelle priorità». Altre 83 su 100 identificano lo spreco «nel fatto che i nuovi assunti spendono molto tempo per allinearsi alla conoscenza pregressa e non hanno a disposizione sistemi, strumenti e attività che li supportino in questo recupero di conoscenza». «Rifare progetti (o una parte di essi) dopo aver scoperto di aver lavorato con dati rivelatisi successivamente non corretti o incompleti» è lo spreco più grave per il 78% delle realtà-campione. Laddove invece il 72% lamenta la penalizzante necessità di «inserire informazioni del progetto in più sistemi informativi, transcodificando manualmente dati e codici». Il 70%, poi, punta l’indice sulla sovra-progettazione di prodotto, che sfocia in una crescita esponenziale dei costi di sviluppo; mentre un ulteriore 67% si trova alle prese con prodotti difettosi ma già sul mercato, con conseguenti aggravi in termini di manutenzione. La realizzazione di progetti che invece alla vendita neppure approdano; e il bisogno di riprendere da capo a piedi iniziative che già si pensava d’aver concluso è il cruccio del 59% degli interpellati. Infine, c’è chi spreca risorse importanti nel progettare funzionalità che, nei manufatti, la potenziale clientela non richiede; e chi (46%) perde tempo a causa della mancanza di «firme o autorizzazioni dei responsabili» che in tale contesto incarnano il più classico dei colli di bottiglia. «Nella Top 5 dei problemi generati da questi sprechi», ha concluso l’Osservatorio, «figurano per il 95% delle aziende le troppe richieste di modifica dei progetti; per l’88% un sovraccarico dei progettisti; per l’84% lo sforamento dei costi stimati. Il superamento dei tempi stimati è invece un problema per il 73% delle aziende; mentre il tempo speso per la documentazione dei progettisti è stato riscontrato dal 67%». Esemplare, a completamento del quadro, il commento della responsabile dello studio: «Il modello di progettazione orientata al cliente», ha detto Monica Rossi, «consente di essere competitivi nei costi e nelle tempistiche e maggiormente orientati alla customizzazione, con tempestività, puntualità e qualità al di sopra dei propri competitor. Un secondo modello emerso è quello basato su un approccio formale e pianificato alla creazione, con rilevazioni di performance e con un aggiornamento costante, e scritto, dei progetti: permette di risparmiare costi e tempi e di esser flessibili nei progetti, generando dei vantaggi sui competitor dal punto di visto dell’innovatività». Gli ingredienti e le ricette del successo e dell’innovazione possono tuttavia essere riassunti anche con le parole del coordinatore di GeCo: «Il modello basato sulla progettazione collaborativa, ovvero sull’esplorazione simultanea collaborativa di diverse alternative progettuali», ha infatti argomentato il professor Sergio Terzi in un comunicato, «permette di essere competitivi in flessibilità e costi e di essere superiori ai diretti competitor soprattutto nella tempestività e nella puntualità oltre che nella qualità. Infine, il modello dell’innovazione sostenibile basato sulla sostenibilità e l’innovazione dei prodotti attraverso l’attenzione alla logistica e alla seconda parte del ciclo di vita del prodotto, permette di essere competitivi nella differenziazione dei prodotti, ottenendo un vantaggio sui competitor per quanto concerne la qualità e varietà dei prodotti stessi».